«Teatro del Pane in vendita» Il grido di dolore di Artuso

Forse non chiuderà i battenti definitivamente, ma le difficoltà da affrontare oggi, con la serrata per pandemia dallo scorso 23 febbraio, sono muri altissimi, quasi invalicabili. Il Teatro del Pane rischia, come tante altre realtà private dello spettacolo, di non farcela. Il grido d’allarme – che è poi anche un’invocazione d’aiuto – viene da Mirko Artuso, anima del palcolscenico inaugurato sette anni fa a Villorba grazie alla generosità di Laura Vecchiato, con l’idea originale di unire l’emozione del buon cibo a tavola con quella degli spettacoli dal vivo. Convivialità pura, dialogo serrato fra attori e pubblico che quasi possono toccarsi. Fino a poche settimane fa. Agosto intanto lo passerà a «camminare teatralmente» lungo il Brenta raccontando e raccogliendo storie, sulla falsariga della felice esperienza dell’anno scorso sul corso del Piave, da Belluno e Salgareda. Se e come le ordinanze anti contagio lo consentiranno. «A tenere in piedi il Teatro del Pane non ce la faccio da solo», dice Artuso, sollevando il coperchio su una pentola in ebollizione, «a chiunque voglia dare una mano in qualsiasi forma dico che io sono qui. I proprietari dei muri nel locale che occupiamo sono magnanimi e hanno sospeso l’affitto, ma a giugno dovrò fare i conti con questi signori». Artuso, 54 anni tra qualche mese, 33 di mestiere dedicato al grande amore teatro, ma anche al cinema (l’ultimo film in sala è stato “Effetto domino” di Alessandro Rossetto, uscito l’anno scorso) si spinge fino alla provocazione: «Metto in vendita il teatro», dice, «telefonare ore pasti». Poi spiega: «Questa situazione ci sta creando problemi gravissimi. Hanno detto che ci faranno riaprire per ultimi. Ma chi ha deciso che teatri e cinema sono i luoghi più pericolosi? Ora nel pieno della crisi la maggior parte dei colleghi non sa se fra sei mesi potrà dar da mangiare ai figli e pagare l’affitto. Sono preoccupati: il nostro settore non produce ricchezza accumulabile, alcuni arrivano a fine mese, altri sono in difficoltà». E poi la crisi dettata dallo stop a causa della pandemia, si somma a uno stato di difficoltà precedente già grave. «Se il ministro della Cultura Franceschini pensa che aver dato 600 l’euro ai professionisti sia la soluzione sta sbagliando. C’è una rivoluzione sociale da fare per risolvere questo problema. Sono 33 anni che mi sento dire che non ci sono soldi, ma per coloro che stanno sulle spalle di chi lavora nel teatro i soldi ci sono sempre». Prima della pandemia, Artuso aveva convocato al Teatro del Pane 140 professionisti del settore. Il convegno dal nome culinario “Lievito” intendeva affrontare problemi che il mondo dello spettacolo vive da almeno 20 anni. «C’è anche un silenzio assordante nel nostro mondo e tanta ipocrisia», aggiunge, «sono anni che si accetta tutto supinamente. E mi arrabbio perché fare spettacoli in streaming non è teatro: manca il contatto con il pubblico, se ne stanno accorgendo tanti colleghi che pensavano di attirare la gente sui social e non è stato così». E Mirko Artuso che farà? «Se questo è il futuro del nostro settore andrò a fare il magazziniere: le soddisfazioni me le sono già tolte, mi dispiace per i giovani. Bisognerà vedere quali reazioni avrà il pubblico all’idea di ritrovarsi insieme perché il mio sarà sempre un teatro da vivere fatto per le persone». —
marzia borghesi
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