Tangenti in cantina, un altro indagato

Imprenditore accusato di corruzione per una presunta mazzetta all’ispettore Serafin: chiesto il processo per entrambi
Di Sabrina Tomè

CONEGLIANO. Si è allargata l’inchiesta sulle presunte tangenti all’ispettore Loris Serafin, 52 anni, dell’Istituto antifrodi di Conegliano. Nel registro degli indagati è stato iscritto il nome di un altra persona, un imprenditore vitivinicolo, che - stando alla Procura - avrebbe pagato una mazzetta allo scopo di velocizzare alcuni adempimenti burocratici. Si tratta di Tiziano Vedova, 22 anni, titolare di un’azienda a Valdobbiadene: la somma che gli viene contestata è molto contenuta e, secondo gli investigatori, l’uomo l’avrebbe versata a Serafin allo scopo di ottenere una scorciatoia per le vidimazioni su un registro la cui tenuta è obbligatoria per legge. Una sorta di tangente, dunque, per saltare la coda. In realtà, secondo quanto sostiene la difesa rappresentata dagli avvocati Simone Scanferlato e Jacopo Stefani, non c’è alcun reato: l’imprenditore avrebbe versato l’importo all’ispettore che gli aveva fatto visita a titolo di consulenza e in totale buona fede, convinto che si trattasse di una regolare e normale procedura. Prova della mancanza di dolo, sottolineano i legali, è anche il fatto che il giovane ha collaborato fin dall’inizio con gli investigatori. I profili dell’intera vicenda potranno essere meglio definiti nell’udienza del prossimo 28 maggio. In quella data Serafin e Vedova compariranno davanti al giudice dell’udienza preliminare di Treviso dopo la richiesta di rinvio a giudizio avanzata dal sostituto procuratore Iuri De Biasi, titolare delle indagini. Il reato contestato a Serafin, oltre alla corruzione, è quello della concussione per induzione. Le accuse sono conseguenti a un’indagine della Guardia di Finanza che lo scorso anno ha fatto scattare gli arresti domiciliari nei confronti dell’ispettore dell’Antifrodi. Secondo i finanzieri, Serafin avrebbe incassato a titolo di «consulenze» oltre 5 mila euro in contanti (2 mila da una società di Pieve di Soligo e 3.500 da un'azienda di Valdobbiandene) e svariate altre centinaia di euro sottoforma di pieni benzina per il suo Range Rover. Soldi ottenuti dagli imprenditori come pagamenti per presunte attività di promozione commerciale. Servizi, questi, che l'uomo avrebbe fatto grazie alle sue asserite conoscenze e influenze nel settore e soprattutto facendo valere il suo ruolo di pubblico ufficiale. I versamenti che venivano richiesti anche attraverso «ripetute telefonate a carico dei titolari delle aziende», spiega la Guardia di Finanza, ma anche attraverso mail e visite negli uffici.

La difesa, rappresentata dagli avvocati Danilo Riponti e Maurizio Paniz nega con decisione tutte le contestazioni: «A fronte delle contestazioni inerenti a episodi di scarsissimo valore economico, ci riserviamo di esercitare la più ampia prova a difesa nelel competenti sedi». Nel frattempo i legali hanno ottenuto la revoca della misura degli arresti domiciliari, convertita in obbligo di dimora.

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