Strage nella Rsa: il dramma di Casa Fenzi a Conegliano, tutti i documenti
Coronavirus nella Marca, l'impressionante catena di contagi (direttore compreso), gli allarmi inascoltati e la corrispondenza interna riservata

Allegranzi Conegliano sede Casa Fenzi
TREVISO. Una catena di decessi in serie. La stessa casa di riposo che chiede aiuto all’Usl: “Ricoverati i contagiati”. E’ il grido d’allarme di Casa Fenzi di Conegliano. Il primo caso positivo nella residenza per anziani risale al 20 marzo: un anziano trasferito in ospedale e lì sottoposto al tampone, poi deceduto.
Il 23 marzo invece un’addetta alla pulizie della cooperativa era stata ricoverata a Vittorio Veneto con problemi respiratori, contagiata. Il 25 marzo arriva il grave campanello d’allarme: 4 ospiti deceduti nel giro di 24 ore. «Sintomatologie simili a quelle delle persone affette da Covid-19», attesta il presidente di Casa Fenzi nella suo report.
È quello il momento della svolta. Il 26 marzo la direzione informa la task force dell’Usl e c’è un vertice tra i coordinatori interni e l’azienda sanitaria.
Casa Fenzi registra decessi in serie (25 in 15 giorni), e chiede soccorso all’Usl per trasferire in ospedale le persone malate.
Un autentico sos, per la situazione di «assoluta emergenza a seguito dei drammatici sviluppi del contagio», e sono le parole del presidente del consiglio d’amministrazione, Gianni Zorzetto. Ci sono stati casi di anziani deceduti con sintomi sospetti anche se il kit era risultato negativo. In totale sono 112 gli ospiti (il 59,5%) che avrebbero contratto il virus, per la maggior parte testati con l’esame rapido.
Martedì sono ricominciati i tamponi, fermi a quelli effettuati a fine marzo, quando 17 ospiti su 20 erano risultati positivi al Coronavirus.
Ma ben 25 sono stati i decessi, solo in questa prima metà di aprile: «A giudizio dei medici in struttura, sono riconducibili a cause da Covid-19», evidenzia una relazione della casa. A questi si sommano i diversi ospiti venuti a mancare nella seconda metà di marzo. In soli 2 giorni erano deceduti 7 anziani.
La Casa di riposo di Conegliano assiste e accoglie normalmente 230 persone (l capienza è di 233 posti letto). Al 10 aprile sono rimasti 187 ospiti. Ieri si sono conclusi i tamponi sul personale: il 42% era già assente, a casa in malattia.
I drammatici dati fanno di Casa Fenzi il focolaio della Marca.
«L’ente in costante coordinamento con i medici dell’Usl 2, la task force Covid-19 e con la dirigente di riferimento dell’azienda sanitaria, sta facendo il possibile per gestire la situazione», scrive Zorzetto, «avendo isolato per quanto possibile e sui dati a disposizione, gli ospiti positivi da quelli negativi, dislocandoli in nuclei separati, per contenere in tale modo il contagio, come dalle disposizioni prescritte a livello nazionale e regionale».
La lettera-sos è datata 15 aprile, segue quella già inviata il 3 aprile a Regione, Prefettura, Usl 2 e comune di Conegliano. Per conoscenza è stata comunicata anche alla caserma dei carabinieri di Conegliano.
«Considerata però la natura della malattia», continua il presidente, «e in particolare la contagiosità e il rischio di aggravamento dei sintomi, nonché la carenza cronica di personale e la difficoltà al suo reperimento, si chiede di valutare l’ospedalizzazione dei pazienti positivi e di quelli con sintomatologia importante».
C’è un "Piano B", quello di realizzare un padiglione Covid all’interno dell’edificio, dopo che arriveranno i risultati definitivi dei tamponi per tutti gli ospiti. Ma i “nonnini” negativi (75) e quelli positivi (112) sono già stati divisi in due nuclei separati, dall’11 aprile, nell’ala ovest dell’edificio.
«Tuttavia, sulla base di questa separazione si riscontravano nei giorni successivi 2 decessi di ospiti risultati negativi al test veloce, ma con sintomi a quelli da Covid-19», evidenzia la relazione.
Zorzetto sin dalla prima lettera ricostruiva la battaglia contro il virus, iniziata il 20 marzo. «A partire dal 20 marzo l’ente ha segnalato al responsabile della task force coronavirus dell’Usl 2 la situazione esponendo le criticità emerse e sollecitando un intervento rapido» scriveva Zorzetto.
Il 26 marzo, dopo 4 ospiti morti in sole 24 ore, è stata fatta una riunione d’urgenza con i responsabili dell’Usl. A fine marzo i tamponi sui 106 dipendenti e su un campione di 20 anziani, dei quali 17 contagiati.
C’era stata carenza di reagenti ed erano stati stoppati gli accertamenti, con solleciti arrivati dalla direzione. La settimana scorsa sono stati effettuati i kit sierologici, negli ultimi giorni è scattato il tampone per tutti gli anziani probabili contagiati, per i dipendenti già infettati (per capire se possono uscire dalla quarantena) e per chi era assente, ben 59 infatti sono i dipendenti a casa, il 42%.
«Sicuramente per un congruo numero degli assenti la probabile causa è riconducibile al Coronavirus», spiegano dalla presidenza.
In totale sono 192 i dipendenti che lavorano in Casa Fenzi, di cui 50 forniti da una coop. Per i turni notturni sono stati assunti infermieri da una ditta privata, mentre gli operatori socio sanitari sono stati garantiti dalla coop Insieme si Può.
Il direttore Piergiorgio Penzo è stato al comando finché ha potuto, poi è stato contagiato, e continua a seguire l’evolversi della situazione dall’isolamento. Non ha avuto sintomi gravi e all’inizio della prossima settimana dovrebbe uscire dalla quarantena, se il tampone risulterà negativo.
Qui sotto pubblichiamo le lettere inviate dal presidente di Casa Fenzi Gianni Zorzetto alle istituzioni trevigiane e regionali, sanitarie e non sanitarie, che illustrano la situazione all'interno della casa di riposo. La prima è datata 3 aprile, la seconda 15 aprile.
La lettera del 3 aprile
La lettera del 3 aprile by Fabiana Pesci on Scribd
La lettera del 15 aprile
Lettera casa Fenzi 15 aprile by Fabiana Pesci on Scribd
Il primo caso positivo a Casa Fenzi risale al 20 marzo: un anziano trasferito in ospedale e lì sottoposto al tampone, poi deceduto. Il 23 marzo invece un’addetta alla pulizie della cooperativa era stata ricoverata a Vittorio Veneto con problemi respiratori, contagiata.
Il 25 marzo arriva il grave campanello d’allarme: 4 ospiti deceduti nel giro di 24 ore. «Sintomatologie simili a quelle delle persone affette da Covid-19», attesta il presidente di Casa Fenzi nella suo report. È quello il momento della svolta. Il 26 marzo la direzione informa la task force dell’Usl e c’è un vertice tra i coordinatori interni e l’azienda sanitaria rappresentata dalla dottoressa Dalla Torre e dal dottor Antoniazzi.
Si decide di sospendere l’inserimento di nuovi ospiti e fare il tampone a tutti, personale e nonni. I tamponi sono stati completati dal 14 al 17 aprile. Una delle quattro persone mancate il 25 marzo era la professoressa Nada Meneghello, 95 anni, storica insegnante di Conegliano. Un decesso non classificato Coronavirus, ma nel “limbo” dei sospetti, senza tampone. Una donna che anche da ultranovantenne aveva girato il mondo.

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«Aveva 92 anni quando ha fatto l’ultimo viaggio di una settimana, ma diceva “Adesso mi devo fermare”», ha ricordato una delle cugine. «Una donna forte e indipendente», la testimonianza della parente a lei più vicina, «da due anni era in Casa Fenzi».
Non c’è nessuna accusa a Casa Fenzi, il rammarico è non poterle essere stata vicino in quei momenti. «Ha fatto un crollo, ha avuto la febbre, l’aveva avuta anche l’anno scorso ma si era ripresa subito, invece stavolta è continuata. Avevo chiamato il venerdì ( 20 marzo ndr) e l’operatore mi aveva detto: “È sfebbrata, ma la teniamo sotto controllo”.
Mercoledì mi ha chiamato il dottore (25 marzo ndr) comunicandomi che si era aggravata e dopo tre-quattro ore, verso sera, mi hanno richiamato perché era deceduta. Ho chiesto al dottore se c’erano stati altri casi, mi ha detto “Stanno aumentando, non si sa la Nada, ma niente si può escludere”».
Era il 26 marzo. «Hanno fatto di tutto, ha incominciato a non deglutire, le mancava il fiato, hanno dato il massimo dell’ossigeno ma lei riceveva il minimo», questo le è stato riferito. «Erano preoccupati già allora, ho sentito anche la caposala a cui ho chiesto se aveva sofferto. E il dottore mi ha riferito che non le era stato fatto il tampone».
Alle cugine, abitando fuori comune, non è stato possibile nemmeno dare l’addio e assistere alla benedizione alla salma. «Andavo tutte le domeniche a trovarla», è lo struggente racconto della cugina, «facevamo la passeggiatina, beveva il caffè, la cioccolata, le piaceva il gelato, mangiava di tutto da sola. Mi dispiace perché nei momenti in cui è andata così non ho potuto nemmeno andare a salutarla in cimitero».
Il lutto per la scomparsa della professoressa Meneghello aveva colpito anche il collegio Immacolata. Lei era molto legata alla casa salesiana, dove aveva avuto una sorella suora, suor Giancarla Meneghello.

Healthcare professionals at work at the hospital of Schiavonia, northern Italy, 08 March 2020. The Italian authorities have taken the drastic measure of shutting off the entire northern Italian region of Lombardy – home to about 16 million people – in a bid to halt the ongoing coronavirus epidemic in the Mediterranean country. The number of confirmed cases of the COVID-19 disease caused by the SARS-CoV-2 coronavirus in Italy has jumped up to at least 5,883, while the death toll has surpassed 230, making Italy the nation with the third-highest number of infections (behind China and South Korea) and the second-highest death toll after China. ANSA/ NICOLA FOSSELLA
Una passione quotidiana, cominciata ben prima di Pasqua. Una silenziosa strage di un killer subdolo, che sa come muoversi e non fa distinzioni. Ma con gli anziani, i più fragili, ha più spesso partita vinta, e molto più facilmente.
Sono almeno 22 gli ospiti delle case di riposo trevigiane deceduti a causa del coronavirus, con causa di morte accertata. Altri 14 sono fortemente indiziati.
E su 49 defunti delle ultime settimane è lecito nutrire sospetti, per quanto non suffragati dai tamponi né dalle statistiche storiche de i diversi istituti. Finita? Macché: su altri 20 si mormora, in centri pure ufficialmente “Covid-immuni”, dall’hinterland di Treviso al Coneglianese.
Il macabro pallottoliere del Covid dice 105. Ben oltre il 90 che fa paura. E siamo infatti nel terrore, a un punto in cui la notte potrebbe averne portato altri. Un bollettino cominciato il 25 febbraio, quando la nostra provincia registrò la prima vittima ufficiale di Covid.
E adesso, i morti ufficiali da virus sono 151. Ma attenzione, quelli di cui parliamo, spirati nei letti della casa di riposo, anch’essi con sofferenze indicibili, non ci sono. Ma allungano spaventosamente la nera sequenza È un velo da alzare, una buona volta, un altro libro luttuoso, ancora da scrivere interamente.
Sono numeri sconvolgenti, e ancora sottostimati. E rischiano di aumentare a dismisura, se non addirittura di raddoppiare le vittime trevigiane del Covid. Non siamo alla spaventosa ecatombe del Trivulzio, o di altre case di riposo lombarde e marchigiane. Ma è una invisibile strage diffusa, dietro le belle, storiche o modernissime facciate delle strutture. Dalle sponde del Sile alle pendici del Cansiglio, dai colli di Conegliano alla Bassa.
Sovrapponibile perfettamente ai principali focolai, quello del Ca’ Foncello, con il micidiale blitz a Ca’ dei Fiori a Casale, e a quello della Pontebbana, tra Marca e Friuli, che ha generato il funesto triangolo tra Vittorio Veneto, Conegliano e Sacile.
E il balletto delle cifre impressiona: a Casale i morti riconducibili al Covid sono 14, con una scia di altri sospetti, se la struttura passa da 107 ospiti a 85. I conti stonano. Altri 3 decessi da Covid alla residenza anziani del Gris, e altrettanti oscuri, nel centro di Mogliano che trema anche per il suo polo disabili. In Sinistra Piave, il Cesana Malanotti registra soltanto 3 decessi da virus, ma su altri 30 avvenuti a marzo c’è un aleggiare di sospetti anche istituzionali, sebbene senza il conforto dei tamponi. Gli addetti hanno usati persino le barelle gommate. E l’altra notte, l’ennesimo decesso a seminare dubbi.
A casa Fenzi di Conegliano, ufficialmente, nemmeno un ospite morto per il Covid: Ma a marzo una decina di ospiti è spirata in pochi giorni. L’ultimo focolaio è il De Lozzo da Dalto di S. Pietro di Feletto, frazione S. Maria.
C’erano 15 morti sospette e un altro decesso che ha fatto mormorare: gli accertamenti dei medici necroscopi hanno appurato essere 16 vittime del maledetto virus. E quanti ospiti defunti, da metà febbraio in poi, per insufficienze respiratorie o ab ingestis sono da ascrivere al Covid? Stiamo parlando di meno di 10 case di riposo su 45 Ipab (e 56 sedi).
I tamponi non sono stati eseguiti, ma il personale che lavora nei focolai parla di stanze e padiglioni trasformati in un dantesco girone di un Inferno terreno. Personale che ha lavorato – e lavora – con poche mascherine, dopo che per settimane intere le ha chieste invano ed è stato mandato allo sbaraglio, e richiamato dai capi e dirigenti se le si indossava, perché si impaurivano gli ospiti. Ecco, se mai quel libro nero verrà scritto, bisognerà scrivere di chi, infermieri Oss e inservienti, non ha ceduto mai, in trincea – magari lavorando con i tamponi i certi – ma anche della pioggia di certificati medici che hanno dimezzato interi organici, e non per le quarantene.
Di quegli istituti che si sono blindati subito, sfidando le proteste dei familiari, sin da fine febbraio (fra loro Israa e casa Marani) a fine febbraio, e di chi invece lo ha fatto più tardi, lasciando involontariamente campo al virus.
Di chi ha sottovalutato la questione dei dispositivi di protezione, peraltro introvabili, riprendendo gli addetti che la indossavano perché impauriva gli ospiti; di chi ha creato ferree misure di contenimento e controllo e di chi invece il cordone lo ha applicato con ritardo.
Ma va detto anche che quella di avere, nel periodo sbagliato, ospiti portati in geriatria a Treviso, è stata la zampata maligna del destino, una roulette russa che ha finito per condannare al contagio un istituto anziché quello del paese accanto. I numeri dicono che la fase peggiore è terminata: ma solo ora, a Pasquetta, si avrà il conto, fino all’ultimo anziano assistito e all’ultimo dipendente, grazie ai 10.550 fra kit e tamponi.
Ahimè, la scia continua ad allungarsi, con altri decessi e ombre che incombono. Il virus è ancora lì, dopo aver seminato morte tra piani e nuclei, ali e padiglioni. E scopriremo solo alla fine questo doppio dazio dei nostri anziani caduti
Argomenti:coronavirus veneto
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