Spari tra Rom, lo sfogo del quartiere: «Noi dimenticati, nel mondo a parte di Borgo Capriolo»

Una situazione difficile tra sfratti a vuoto e inquilini abusivi. «Il ruolo del Comune? Ha dato tanti alloggi a quella gente»
Il sindaco Mario Conte sul luogo della sparatoria
Il sindaco Mario Conte sul luogo della sparatoria

TREVISO. Borgo Capriolo è un luogo “difficile”, com’è difficile immaginarsi un posto dove le scalinate dei palazzi risuonano delle risate dei bambini che tornano da scuola mentre fuori si spara.

È un rione a parte. Il vicinato non lo frequenta; chi invece nasce e cresce tra quei quattro lati di vecchi condomini popolari non ha paura a chiamarlo “ghetto”, ma quasi con affetto: ci vede il “bello” di un posto dove i bimbi della diverse famiglie giocano tutti insieme («con qualche padre che ogni tanto arriva coi gelati per ciascuno»); e ci vede il brutto di un luogo con troppe gradazioni di grigio.

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Vent’anni

«E pensare che vent’anni fa era anche peggio», ammette Bruno, un giovane di trent’anni che da una decina di calendari vive lì, non ha lavoro ed ha avuto accesso alla casa popolare come tutti i vicini. Ed è vero: quando Borgo Capriolo fu scelto come uno dei luoghi di “atterraggio” dei nomadi cacciati del campo di via Da Milano le cose furono subito difficilissime: caos, liti, polizia.

Convivenza impossibile con i trevigiani degli alloggi Ater. Ci sono voluti anni: alcuni problemi si sono smussati, ma in fondo non sono cambiati. Borgo Capriolo è stato da sempre uno degli obiettivi della propaganda leghista, ma non è stato mai toccato davvero. Anche perchè la soluzione sarebbe stata solo una: trasferire. Ma trasferire avrebbe voluto dire spostare il problema “rom” altrove.

«Quindi tutti qui», ammette Gino, anziano abitante di quei condomini, «E fanno quello che vogliono. Sa telefonate che facciamo in Comune? Tantissime, ma non interviene nessuno. Passano con l’auto, qualche controllo ogni tanto. Basta. E sì che di guai qui ce ne sono» . Tra gli assistenti sociali che seguono alcuni inquilini della zona Borgo Capriolo è «un vero guaio». Ma quando gli si chiede soluzioni scuotono la testa: «Ma che vuoi fare?».

Sfratti e inquilini fantasma

La scorsa estate il Comune cambiò la serratura di alcuni appartamenti del rione che erano stati segnalati come vuoti. «Arrivarono con fabbri e polizia», dice un anziano. Agirono per timore di occupazioni abusive (era già successo, anche da parte di parenti degli inquilini).

«Ma, pur sfrattati, poi sono rientrati in casa», racconta un’altra anziana inquilina. C’era il Covid, e non si poteva lasciare per strada nessuno anche se moroso. Così le chiavi pare siano state riconsegnate agli inquilini spariti e magicamente riapparsi.

La stessa famiglia Durdevic coinvolta nella sparatoria di ieri aveva avuto i suoi guai con Ater: mesi e mesi di mancati pagamenti; lo sfratto era stato evitato in extremis pagando. Ma oggi pare che gli assegnatari e reali inquilini non coincidano. Branko non era inquilino registrato, almeno così pare. Era entrato al seguito di altri in un sistema ormai classico degli alloggi popolari: a fare da apri-casa sono donne, spesso donne con figli; sole, ma mai sole davvero".

"Casi simili sono stati segnalati in tanti alloggi popolari di Santa Bona. Branko viveva a Borgo Capriolo dopo essere uscito dal carcere dove è ancora detenuto il figlio della vittima della sparatoria. «A noi si fa pelo e contropelo, loro riescono ad ottenere casa come nulla fosse».

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Tante promesse e rabbia

«Qui si vive in armonia, poi a qualcuno saltano i nervi e succedono queste cose», ammette Said, che abita nei palazzi dal 1996, «il Comune che fa? Nulla, nemmeno passa a tagliare l’erba o mettere due giochi per i bambini».

Bambini che corrono tra case in cui si maneggiano pistole. Erano stati promessi controlli «ad alzo zero», «verifiche a tappeto su inquilini e ospiti», «sui redditi» dopo tutte le liti e i fattacci che avevano coinvolto il rione. Propositi lasciati alla cronaca.

«Qui», dice Aiub, ventenne che vive nel quartiere indicando per le indagini della polizia il luogo della sparatoria, «fanno quel che vogliono, sarebbe ora che il Comune battesse un colpo e facesse capire che resta chi rispetta le regole. Gli altri vanno sbattuti fuori». È un ragazzo, magari la “spara grossa”, ma guardando i lampeggianti e il sangue a terra lo dice chiaramente: «Non ho voglia che la prossima pistolettata becchi me». —



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