Sile malato, la pioggia non basta

Senza acqua e ossigeno nel fiume che bagna Treviso scompare la vita
AGOSTINI AG.FOTOFILM SILEA IL SILE IN SECCA LUNGO LA RESTERA DAI BURCI A LUGHIGNANO, IN FOTO I BURCI
AGOSTINI AG.FOTOFILM SILEA IL SILE IN SECCA LUNGO LA RESTERA DAI BURCI A LUGHIGNANO, IN FOTO I BURCI

TREVISO. A rimanerci male, più di tutti, sono i bambini. Quando la classica gita alle sorgenti del Sile, al famoso Fontanasso dea Coda Longa, si trasforma in un triste sopralluogo su una distesa di sassi, sabbia, torba. Portarli più a valle, dove il fiume ha le “spalle” più larghe, sarebbe ancora peggio, perché la greenway è diventata una lingua (secca) di fango e rifiuti. Gli insegnanti e gli accompagnatori, allora, provano a consolare gli studenti con una promessa: «Vedrete che entro due settimane pioverà forte sulle Prealpi, e il fiume della nostra città tornerà a scorrere». Loro si tranquillizzano, rincorrono qualche gamberetto, ci credono.

Il “sacco” del Sile. In realtà la situazione è più complicata di così. La pioggia non basterà. Secondo Legambiente, per esempio, il Sile sta subendo un “sacco” simile a quello della Piave negli anni Settanta, quando il prelievo di milioni di metri cubi di ghiaia, e l’acqua trattenuta dalle centrali a monte, provocarono le prime grandi crisi “d’identità” del fiume. Sul banco degli imputati finiscono allora i Consorzi di Bonifica, il Genio Civile, gli allevatori che prelevano l’acqua (e la stagione deve ancora entrare nel vivo), le centrali che si riforniscono dai canali (come quella di Villorba sul Piavesella).

Un piano in cinque anni. Lo chiede sempre Legambiente, chiamando a un tavolo di lavoro condiviso la Regione, il Genio Civile e i consorzi di irrigazione. «Non si può decretare la morte dei corsi d’acqua sorgiva, come il Negrisia o il Limbraga, che alimenta il Sile, senza pagarne le conseguenze», spiega Fausto Pozzobon, presidente di Legambiente Piavenire e nel direttivo di Legambiente Veneto, «politiche miopi antepongono gli interessi di pochi alle esigenze di tanti cittadini e della natura. Perché si permettono ancora le costruzioni di abitazioni e condomini, con tanto di scantinato, in zone in cui si hanno flussi di direzione in falde freatiche di superficie? Perché si danno, ancora oggi, permessi di escavazione in letti fluviali che risultano già sprofondati?».

“Un canalone senza vita”. E’ la definizione che dà del Sile di questi giorni Corrado Forlani, dell’associazione Lanciatori Bassa Trevigiana della Fipsas. Da pescatore, conosce il Sile ansa per ansa: «A monte di Treviso intere aziende zootecniche hanno i loro allevamenti direttamente sull’asta fluviale del Sile, a valle la vita acquatica è scomparsa, in città gli scarichi portano di tutto, nel braccio di Sile Morto, dove scarica il grande depuratore, la situazione è ancor più drammatica. Oggi i volontari di Open Canoe puliscono il fiume ogni giorno dai rifiuti solidi sulle sponde, e fanno un lavoro meraviglioso, ma è la punta di un iceberg se paragonato a quel che si trova sul fondo, e a quanto è disciolto in acqua».

Fauna senza ossigeno. Il luccio, la trota marmorata, la carpa, non si riprodurranno. Perché è scomparsa la fascia di vegetazione sommersa in cui i pesci si riparavano. «Per la nostra fauna ittica non c’è speranza, scomparirà completamente» arriva a dire Forlani, «la vegetazione sommersa che rimane è coperta da una patina chimica marrone che impedisce alle uova di schiudersi. Gli interferenti endocrini contenuti in mille prodotti non depurati fanno il resto, modificando la genetica delle specie nei primi stadi di accrescimento. Il Sile, fiume tra i più belli al mondo, solo trent’anni fa un’oasi di vita dalle acque color smeraldo, oggi è un canalone di bonifica senza vita dalle acque opache e dalle sponde degradate».

I rimedi. Legambiente si era già mossa per il Piave, e mira alla costituzione di una conferenza dei servizi sul tema. I pescatori rilanciano: «Sulla siccità i rimedi esistono, grandi bacini di laminazione, agricoltura responsabile, riforestazione del territorio e, soprattutto, una grande opera di riqualificazione fluviale. Le tecniche esistono, e abbiamo sul territorio studiosi importanti in grado di progettare tutto questo. Il problema, semmai, è un altro: importa davvero a qualcuno salvare fiumi e canali?».

 

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