«Sì, mi pento e pago per tutte le mie colpe Sono vittima dei Velo, riparto a testa alta»

La nuova vita come consulente e la speranza di scontare la pena ai servizi sociali: «Ho imparato tanto da questa brutta vicenda» 

L’intervista

«Pentito di ciò che ho fatto? Sì, assolutamente. Pago il mio conto con la giustizia, ho già voltato pagina. Sia dal punto di vista professionale, sia da quello personale. Mi dissocio completamente dal clan dei Velo, sì, è proprio un clan. Sono una loro vittima». I sospiri di sollievo, in casi del genere, sono riservati a chi ottiene l’assoluzione. Per Marco Rossini, però, anche una condanna definitiva può avere un rovescio della medaglia, meno buio: «Ho imparato tanto, da questa vicenda. Certo, ne avrei fatto volentieri a meno. Ma mi lascia una sorta di bagaglio culturale. Mi ha insegnato a valutare le persone in modo diverso».

Rossini, come è ripartita la sua vita dopo i Velo?

«Mi dissocio da quella famiglia, sono stati già condannati come mandanti della rapina a mia madre, a gennaio ci sarà anche la sentenza a loro carico sull’estorsione nei miei confronti. Una vicenda dolorosa per me, che ha portato anche al fallimento della mia azienda presa dopo aver lasciato la Velo, ovvero la Cmr a Candelù».

Questa sentenza di condanna però riguarda lei.

«Ho avuto le mie responsabilità, ma sono rimasto in carica dieci mesi in Velo, un’azienda che aveva 40 milioni di euro di debiti a fronte di altrettanti di fatturato, situazioni che ho trovato già al mio arrivo, “mala gestio” precedente certificata dalle carte processuali. Per quanto riguarda le mie azioni, tutte le operazioni che ho fatto sono state condivise a livello di consiglio di amministrazione, ho seguito le direttive imposte dalla famiglia Velo, il meccanismo si è rotto quando ho deciso di uscire. Ho sbagliato e pago, e non voglio dire di sentirmi vittima del sistema giudiziario: no, sono vittima dei Velo».

Si è pentito di ciò che ha fatto?

«Assolutamente. Ma le brutte cose passate mi hanno anche dato degli insegnamenti, mi hanno fatto capire come si inviluppano le aziende che vanno in crisi, e che poi cercano strade alternative quando le banche dicono di no. Operazioni forzate perché l’imprenditore, con l’orgoglio ferito, non vuole portare i libri in tribunale».

Adesso cosa fa?

«Mi sono ricostruito la mia professionalità, faccio l’advisor e il consulente soprattutto nel settore dell’automotive a livello nazionale».

Vive ancora a Montebelluna?

«Sì, non sono scappato, non ne ho motivi. La mia dignità personale è lì, chi lavora con me lo sa. Sono state scritte tante cattiverie, chi mi ha accusato ha fatto anche riferimento a un mio presunto “tesoretto” personale accumulato: falsità, non ho intascato nulla, alla Velo avevo portato un milione e mezzo con un’operazione “pulita” di management buy-out cedendo Velo Sudafrica all’allora direttore generale. Ma era liquidità a beneficio dell’azienda, non mio».

Una vicenda, in Velo, che l’ha toccata dal punto di vista professionale e personale.

«Sì, con i Velo ce l’ho soprattutto dal punto di vista personale, hanno intaccato la mia incolumità e quella di mia madre, una cosa che non posso accettare. E hanno distrutto anche quello che avevo creato dopo, con la mia nuova azienda, la Cmr. Mi trema la voce, avevo intrapreso una mia strada, nessuna giustizia sanerà mai quello che è successo sulla pelle mia, dei dipendenti, dei fornitori. Se mi accusavano di appropriazione indebita dovevano denunciarmi, non minacciarmi né farmi fallire» (la bancarotta della Cmr e alcuni contratti di leasing stipulati dalla stessa società, secondo quando sostenuto da Rossini nel corso dei processi, nascono dall’estorsione nei suoi confronti operata dai Velo, ndr).

Lei aveva anche cariche in Unindustria.

«Ero in consiglio direttivo e in giunta, mi sono dimesso perché non volevo nuocere a un’associazione così prestigiosa. Ero convinto che la verità sarebbe uscita, ora lo è solo in parte: attendo a gennaio la sentenza per i Velo sull’estorsione nei miei confronti. Una vicenda del genere ti travolge come uno tsunami, e all’inizio restano in evidenza solo le cose brutte».

Era il compagno di Loretta Velo, si è rifatto una vita anche a livello personale.

«Sì, ho una famiglia bellissima e tre bambini stupendi. La faida dei Velo contro di me si è scatenata perché sono uscito dal loro clan. Quello è un clan, non è una famiglia».

Con la condanna cosa succederà?

«Vediamo con il mio avvocato, aspettiamo le motivazioni della sentenza. Sono incensurato, spero di andare ai servizi sociali». —

Fabio Poloni

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