S.Giacomo, otto secoli di ospedale

Una cavalcata tra foto e documenti dedicata alla più grande fabbrica della Castellana  
CASTELFRANCO. Una cavalcata di ottocento anni da correre tutta d’un fiato accelerando sul finale in cento metri lineari ovvero lungo il corridoio che separa la piastra servizi dalla chiesa del San Giacomo. Un’impresa storica mai tentata prima e affidata a Giacinto Cecchetto, ex direttore della biblioteca comunale e attento conoscitore delle vicende castellane, dal direttore dell’Usl 2, Francesco Benazzi. L’incarico: realizzare una mostra da dedicare agli otto secoli dell’ospedale. E, alla luce del risultato inaugurato lo scorso 14 ottobre, si può dire: impresa riuscita.


La mostra.
L’esposizione dedicata alla storia della prima fabbrica castellana con i suoi oltre mille dipendenti accompagna fino al prossimo 31 marzo chi si trova ad attraversare il corridoio. Uno sguardo distratto da chi passa di fretta che si fa più attento nei tempi dell’attesa, catturato da documenti, immagini, mappe di ciò che fu, ciò che è stato e ciò che è. L’ultimo secolo, dove qualche testa canuta si ferma, ricorda e magari si riconosce, vola veloce tra le foto dei cantieri, di un Antonio Segni, allora presidente della Repubblica, che con signora partecipa nel 1963 all’inaugurazione del padiglione Kappa, voluto da Domenico Sartor, più volte sindaco della città, costituente e deputato dal 1948 al 1976. Ma questa è solo la fine - o quasi - della storia del San Giacomo.


L’inizio.
Tutto ha inizio - riportano i documenti rispolverati da Cecchetto - il 23 marzo 1217. «È questo», sentenzia lo storico, «il giorno di partenza del lungo viaggio nella storia dell’ospedale di San Giacomo Apostolo, fondato pochi anni dopo la costruzione del castello medievale». Una sanità totalmente privata, nutrita dalla solidarietà. Cicli e ricicli storici?


Una storia di solidarietà.
Per cinque secoli, dall’inizio del XIV al 1807, sono i castellani associati nella Confraternita dei Battuti di Santa Maria e San Giacomo dell’Ospedale, «impegnati nell’azione di carità cristiana e solidarietà umana a sostegno e conforto di poveri, malati e cittadini», a garantire il funzionamento del servizio. Tempi lontanissimi ai primordi di una sanità allora... da campo. Sono i lasciti testamentari - raccontano anche questo i 70 mila documenti consultati da Cecchetto - a finanziare l’acquisto di alimenti, corredi per i letti, vettovaglie e pure “
medicine onguenti e cerre”
forniti da
spezieri
castellani. In pieno medioevo l’ostello per i malati è a quattro passi dalle mura, in borgo Treviso a ridosso dell’attuale chiesa di San Giacomo. «Gestore materiale dell’ospedale», riferisce Cecchetto, «è il
prior
che, in un documento del 1560, era tenuto a
tenir monde le cammare, letti e tutta la casa, ricever poveri, cucinarli, sovvenirli et servirli secondo le loro condizioni et occorentie
. Inoltre doveva far il bucato (
far lisia)
».


I traslochi.
I secoli corrono e nel 1771 il servizio sanitario trasloca nell’ex convento dei Cappuccini, dove sorge attualmente la casa di riposo Sartor, demolito nel 1969. È dell’architetto Francesco Maria Preti, dalla cui matita è uscito pure il Duomo, a progettare un nuovo monumentale ospedale in via Riccati. Il suo piano si ferma all’attuale palazzetto Preti, sede della Pro loco.


L’Onorevole.
Bisogna attendere la fine della seconda guerra mondiale e una progettualità, che Cecchetto non esita a definire di respiro europeo, per veder porre le prime basi dell’attuale cittadella ospedaliera. Castelfranco, appena uscita dal conflitto, apre una delle sue fabbriche più importanti: il padiglione Kappa, avviato nel 1949 e ultimato il 25 ottobre 1963 con un’inaugurazione in grande stile. Tutto documentato nella mostra le cui prime foto raccontano di una sanità comunitaria e, al di là della volontà del paziente di turno, condivisa: grandi stanzoni e lunghe prospettive di letti.


Il monoblocco.
È ancora Sartor a dare un’ulteriore spinta alla sanità castellana con una visione moderna che diventa antica nell’allungarsi dei tempi per la realizzazione del suo sogno. La città sta imboccando gli anni Settanta, l’Onorevole, in qualità di presidente degli Istituti Pii Riuniti, dà il via alla nuova impresa: la progettazione e la costruzione dell’attuale ospedale articolato in monoblocco e piastra servizi. Dodici piani, un “mostro incompiuto” come è stato a lungo definito, a svettare per decenni, simbolo delle tante idee incompiute in un’Italia improvvisamente senza risorse e speranze.


Il Project financing.
Fino a quando il pubblico apre ai privati: con un progetto di finanza - non senza polemiche passate e presenti - l’opera viene portata a termine. È il novembre 2008, una nuova inaugurazione di cui poco ci si occupa nella mostra dedicata alla storia del San Giacomo in una brusca accelerata per completare il racconto degli otto secoli.


Il curatore.
Questa è la storia che ha condotto sino a oggi l’ospedale, «attraverso», precisa Cecchetto, «rivolgimenti istituzionali e politici, guerre rovinose, turbolente congiunture sociali ed economiche e devastanti epidemie, come quelle di colera del 1836, 1855 e 1888, ma anche facendo fronte a malattie come la pellagra, definita il fatalissimo morbo che avvelena il sangue del contadino, come il tifo, il vaiolo, la tubercolosi; una storia che questa mostra consegna idealmente alle comunità di Castelfranco e Castellana, con l’auspicio si faccia memoria di una tradizione e di un impegno solidaristici che ancora oggi, come nei secoli passati, caratterizzano, pur con mezzi e modalità diversi, la fitta rete delle associazioni di volontariato sociale operanti nel nostro territorio».


Il lavoro di ricerca.
Dalla mostra deriverà un catalogo pronto per il prossimo anno e sempre curato da Cecchetto. Questo viaggio nel tempo ha impegnato lo storico per un anno e mezzo. «Diciotto mesi», precisa, «di accurate e mai semplici indagini su migliaia di documenti, manoscritti, mappe e pergamene antiche, progetti tecnici, carteggi, foto storiche, individuati e ricercati nell’archivio antico dell’Ospedale e della Congregazione della Carità conservati nelle biblioteche civiche di Castelfranco e Treviso e ancora nell’archivio dell’Usl conservato a Caerano, negli Archivi di Stato di Venezia e Treviso, in istituti culturali regionali e statali, in collezioni private, senza dimenticare le testimonianze dirette della rinascita dell’ospedale nel secondo dopoguerra».


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