Scene di guerra nell’Unakos stato tra il Livenza e il Tagliamento

Motta di Livenza
L’aria è pesante e rovente. Le foglie degli alberi immobili, come in allerta. Anche la natura sembra avvertire che sta per accadere qualcosa. Dentro al campo base allestito alla caserma Mario Fiore di Motta di Livenza, sede del Multinational Cimic Group dell’esercito italiano, il tenente colonnello Vito Samarelli indica una cartina e inizia a spiegare quanto sta accadendo in un inglese impeccabile. Per una settimana Motta di Livenza diventa il teatro della missione Cerasia, al centro di uno scenario di crisi inventato che abbraccia Veneto e Friuli, toccando le province di Treviso, Pordenone e Venezia. Un’area di 5.000 km² ribattezzata lo stato di Unakos. «Precipitato in una grave crisi internazionale: è stato richiesto l’intervento dell’Alleanza Atlantica» recita il tg.
Parliamo di un gioco di ruolo dal vivo che ha molto di serio. I ventisei partecipanti all’esercitazione provengono da tutte le forze armate, il più lontano arriva dagli Stati Uniti, rappresentati anche Grecia, Lituania, Romania. Lo si intuisce dalle bandiere cucite sulle tute mimetiche. Alcuni di loro presto partiranno per una vera missione di pace in Libano. La mediazione richiede preparazione e sangue freddo. Per questo la missione Cerasia prende forma sul campo, grazie alla collaborazione delle istituzioni locali che partecipano interpretando una parte di fantasia. «Abbiamo un grosso problema di traffico illegale di armi, per questo abbiamo richiesto il vostro aiuto» ammette Ivan Lupieri, comandante della caserma dei carabinieri di Oderzo mentre accoglie il contingente militare ed entra nella parte. Nel silenzio del suo ufficio una scatola di munizioni sottratta al mercato nero pesa come la sua preoccupazione. «Per contrastare il fenomeno ci servono almeno 1.500 uomini e mezzi blindati». Un clima cordiale anticipa i saluti e la promessa di un nuovo colloquio. Il rombo dei fuoristrada corazzati Vm 90 (veicolo multiruolo) squarcia il placido pomeriggio di Meduna di Livenza sotto gli occhi increduli dei passanti. Sulla soglia del municipio Paola Flora, dipendente comunale, guarda con circospezione gli uomini in uniforme. Dietro al tavolo del suo ufficio acquista sicurezza: «A giorni arriveranno trentamila sfollati, non abbiamo infrastrutture per accoglierli, gli abitanti sono in fibrillazione. Magari se ci aiutaste a riparare la scuola danneggiata dai bombardamenti…Potremmo ragionare su un campo di accoglienza».Si continua a mediare fino a notte fonda mentre nel compound arrivano le informazioni raccolte sul territorio, si susseguono i briefing, si cercano le soluzioni.
Il sonno è breve, l’inno di Mameli risveglia il villaggio. I mezzi allineati sono pronti a ripartire: destinazione l’ospedale Oras di Motta di Livenza. Il direttore sanitario Guido Sattin riceve i militari in camice bianco. «Sappiamo dell’imminente arrivo di migliaia di profughi, non abbiamo medici per gestire questa emergenza, ci servono farmaci e sale operatorie mobili in aggiunta alle nostre sale parto». Nello stesso istante il sindaco di Motta, Alessandro Righi, disegna su un foglio di carta il fiume. «Lo stanno inquinando scaricando rifiuti illegalmente. Una minaccia spaventosa, questa è l’unica fonte di acqua potabile che rifornisce le case». Intanto, all’istituto Lepido Rocco di Motta la professoressa Alessandra Crosariol spiega ai militari: «Qui la situazione è insostenibile, abbiamo studenti di diverse etnie, la convivenza è difficile. Voi cosa ci potete dare?». Non fa in tempo a finire la frase che alcuni studenti vengono alle mani. Gli occhi di un operatore Cimic incontrano quelli di uno studente: «Noi siamo qui per costruire un ponte tra le due rive del fiume, per incontrarci a metà strada».—
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