Polisia Veneta, a Treviso tutti assolti dopo 8 anni

Treviso. Per i giudici non era un’associazione paramilitare. Il vigile Gallina: «Ora valuterò se chiedere i danni allo Stato»

TREVISO. La “Polisia veneta” non è un’associazione a carattere militare. L’ha stabilito il tribunale di Treviso che ha demolito la maxi inchiesta iniziata nel lontano 2009 dall’allora procuratore Antonio Fojadelli e dall’allora questore Carmine Damiano. Per i giudici il fatto non sussiste per i dodici imputati, mentre l’unica condanna è per Luciano Spigariol: quattro mesi di reclusione e una multa di mille euro per l’alterazione di una carabina. Assoluzione piena per tutti gli altri.

Il maxi processo alla “polisia” è il frutto di due inchieste, una del 2009 e una del 2012, condotte in prima persona dal procuratore Fojadelli. Gli imputati, difesi dagli avvocati Luigi Fadalti, Roberto Prete e Luca Dorella, erano Daniele Quaglia, colui che nell’organizzazione avrebbe ricoperto l’incarico di governatore del popolo veneto, Sergio Bortotto, con l’incarico di ministro degli Interni e di capo della polizia, Paolo Gallina, comandante dei vigili urbani di Cornuda nella vita reale e generale della polizia veneta in quella dell'Autogoverno, la madre Giuliana Merotto, Danilo Zambon, 65 anni di San Fior, savio dell'Alta Corte di Giustizia e Dino Zorzi, 45 anni di Trevignano, colonnello della Polisia. A questi si erano aggiunti Loris Zanatta, il titolare del pub “Vivavoce” di Maserada nel quale, secondo gli investigatori, sarebbe avvenuto il reclutamento della “Polisia”, Giuliano Spigariol, Paolo Tagliabue, Sandro Meneghin, Enrico Pillon e Fabio Piccoli.

Dopo i clamorosi sequestri di armi e divise effetuati dalla Digos nel 2009, l’indagine sulla “Polisia veneta” aveva avuto una nuova spinta nel 2012 in occasione di una visita in Veneto dell’allora presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano. «La sua sicurezza e incolumità personale non saranno garantite, fermo restando il legittimo ricorso al diritto di rappresaglia. Il Veneto non xe la to italia, ocio», era la frase, intercettata dagli inquirenti, che fece scattare le perquisizioni a carico di 18 componenti del “Movimento di liberazione nazionale del popolo veneto”, tutti indagati con l’accusa di associazione paramilitare, con la costituzione di un corpo armato, la “Polisia Veneta”.

Il “monito” a Napolitano era apparso lunedì 3 settembre sul sito del Movimento. Vennero sequestrate anche armi: fucili e pistole (regolarmente detenuti, quelli veri, oltre ad alcuni giocattolo ma con il bollino rosso rimosso), e poi coltelli, pugnali, manganelli, ogive e bossoli. Un film già visto nel 2009 quando era partita un’azione identica, con armi sequestrate e 13 indagati. L'iter giudiziario si era arenato un anno dopo a causa dell'abolizione del reato di costituzione di associazione paramilitare, contenuta nel decreto omnibus (66/2010).

Addio al processo: a nulla era valsa l'eccezione di costituzionalità sollevata dall'allora procuratore di Treviso, Antonio Fojadelli, nei confronti della cancellazione del reato. Successivamente il reato era stato reintrodotto ed è quindi stato necessario ripartire con le indagini.

E a distanza di oltre otto anni dalle prime perquisizioni è arrivata una sentenza di assoluzione piena per gli appartenenti al movimento indipendentista. «Ritengo che sia stata fatta giustizia», ha commentato al termine dell’udienza Paolo Gallina, «questa è stata fin dall’inizio un’inchiesta che aveva un preciso fine politico: impedire che un movimento che si muoveva all’interno dei perimetri del diritto internazionale potesse porre il tema dell’autonomia del popolo veneto. Ci hanno contrastato in tutti i modi e ora valuterò se chiedere i danni allo Stato e a tutti quelli che nel corso di questi anni ci hanno infangato».

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