Permessi irregolari, poliziotto in carcere

Addetto dell’ufficio Immigrazione arrestato: avrebbe rilasciato almeno 150 documenti illeciti ad altrettanti cinesi
Di Francesco Furlan
Interpress/Mazzega Scattolin Venezia, 07.03.2015.- Conf.Stampa Carabinieri Venezia.- Smantellato gruppo criminale dedito asaalti in gioiellerie.- Nella foto da sx il Ten.Col. Giovanni Occhioni, il Proc.Adelchi D'Ippolito ed il Col. Sulpizi
Interpress/Mazzega Scattolin Venezia, 07.03.2015.- Conf.Stampa Carabinieri Venezia.- Smantellato gruppo criminale dedito asaalti in gioiellerie.- Nella foto da sx il Ten.Col. Giovanni Occhioni, il Proc.Adelchi D'Ippolito ed il Col. Sulpizi

C’erano i due amici cinesi che procuravano i clienti, il falso commercialista che forniva i documenti mancanti e il poliziotto che aggiustava le pratiche e rilasciava i permessi di soggiorno al costo di 2-3 mila euro al mese. Ieri i quattro sono stati arrestati per associazione a delinquere finalizzata alla permanenza illegale nel territorio dello Stato al termine di un'inchiesta della procura distrettuale antimafia di Venezia, competente per tipo di reato, sull'introduzione illegale di cinesi in Italia.

In manette sono finiti Ivano Torresan, 52 anni, assistente capo della polizia addetto all’ufficio Immigrazione di Treviso fino al giugno del 2013, i due cinesi Lunbo Deng, detto Giovanni o Joe, 38, Rongqing Chen, detto Luca, 38, entrambi residenti ad Altivole, e Camillo Aceto, quarantenne di Reggio Emilia, sedicente commercialista. Un’indagine che ha preso le mosse proprio dalla questura di Treviso, quando nel febbraio del 2013 una collega di Torresan, nel verificare una pratica, si accorge che il rilascio del permesso di soggiorno è avvenuto in modo irregolare. La dirigente responsabile dell’Ufficio Immigrazione Elisabetta Serrao decide di avviare le indagini che ben presto portano alla luce il ruolo di punto di riferimento del poliziotto per i due cinesi, mediatori per conto della comunità cinese della Marca, ma anche delle province vicine.

Era Torresan a organizzare gli appuntamenti in modo tale da trovarsi sempre con i cinesi, era lui ad aggiustare le pratiche, inserendo dati fasulli oppure impostando le pratiche come se fossero rinnovi temporanei- per i quali la documentazione è meno corposa - ma rilasciando permessi per lungo periodo. Qualora fosse necessario esibire contratti di lavoro, Chen e il suo braccio destro Deng chiamavano Aceto, che attraverso la società Dataconte di Reggio Emilia provvedeva a fornire copie di contratti di lavoro fittizi. Residenza, rapporto di lavoro, conoscenza della lingua, certificato di stato famiglia e certificato di abitabilità: quando non c’erano i documenti necessari per un permesso di lungo periodo venivano fabbricati, o falsificati nella comunicazione al cervellone. Dal dicembre del 2012 al luglio del 2013 - quando è stato rimosso - Torresan ha gestito 669 pratiche, tra queste 258 carte di soggiorno o permessi di lungo periodo di cui per almeno 150 è stata accertata l’irregolarità.

Difficile dire quanto sia riuscito a incassare, di sicuro alcune centinaia di migliaia di euro visto che la quota più importante dei 3 mila euro erano incassati proprio da Torresan. Un’inchiesta portata avanti alla vecchia maniera, fatta di pedinamenti, intercettazioni e verifiche di una marea di una montagna di carte come ha spiegato ieri in procura a Venezia il questore di Treviso, Tommaso Cacciapaglia, affiancato dal procuratore aggiunto Adelchi D’Ippolito e dal vice questore aggiunto della sezione di polizia giudiziaria della procura di Venezia, Giorgio Vetrone. L’ordinanza di custodia cautelare è stata notificata a Torresan mentre era al lavoro, e poi è stato accompagnato in carcere. Dovrà rispondere, oltre che di associazione a delinquere, anche di abuso d’ufficio. E spiegare perché anche dopo il trasferimento d’ufficio, ha continuato a fornire informazioni ai cinesi sui controlli ai laboratori cinesi, e ad interessarsi all’esito di alcune pratiche. «Il dato triste di questa indagine riguarda l’arresto di un poliziotto», ha sottolineato il procuratore D’Ippolito, «ma l’inchiesta è partita dalla stessa questura di Treviso che non appena ha avuto sentore di qualcosa che non andava, ha avviato l’indagine e informato la procura». Oltre ai quattro arresti sono al momento un centinaio i cinesi denunciati per aver presentato documentazione falsa, mentre tutti i permessi risultati irregolari sono stati revocati.

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