Otto caserme per mille soldati In città degrado e spazi deserti

Volumi immensi trasformati in terra di nessuno, muri diroccati e sporcizia: le strutture militari fra razionalizzazioni e piani di recupero mai attuati. E intanto non c’è posto per le nuove emergenze

TREVISO. Erano 4mila, solo in città, in 8 caserme e in un Distretto. Ne sono rimasti un quarto, anche meno. In tre maxi-caserme, su ben mezzo milione di metri quadri, e in un’ala del distretto.

La Treviso dei militari era una città, con un indotto di miliardi e miliardi. È diventata un borgo, o poco più. E l’indotto è sceso adesso a qualche milione di euro. Chiedetelo alle pizzerie, ai cinema, ai bar. Il nemico non è più a Est - beffa quando si scoprì che i russi, in caso di invasione, sarebbero passati da Nord, via Brennero – e ora la difesa si fa a Sud, in pieno Mediterraneo, con un occhio al fronte arabo e l’altro al fanatismo religioso. Anche se poi la crisi ucraina rispolvera vecchie cortine.

E così, caserme un tempo strategiche si sono svuotate, e il loro abbandono (talvolta scandaloso) riemerge grazie ai blitz del collettivo Ztl. Le tre rimaste attive ospitano metà dei soldati e degli ufficiali di un tempo, se non un terzo. Quartieri generali di livello planetaria -il vicecomando Nato alle Serena- è andato altrove. Battaglioni e reggimenti un tempo di casa, con i loro generali, sono ricordi più o meno lontani. Come la polveriera di via Tronconi: viale Europa e il campus scolastico erano allora nell’iperuranio degli urbanisti e dei Prg....

La Cadorin - oggi avamposto di guerra elettronica che il ministero svuoterà entro il 2016 - ospitava 800 militari. Un quarto di secolo fa. Oggi resta metà contingente, forse meno. La De Dominicis, a due passi due dal centro? La ferma breve addestra 100 volontari, ma vi operano non più di 250-300 militari. E la Boltar, autentica maxicaserma? Non supera le 150 unità, metà dei quali è personale civile. Oddio, c’è ancora un’aliquota di ufficiali e militari di servizio alla Motta, l’ala del Distretto dove resiste il circolo ufficiali: ma è una manciata di uomini. Pensare che un tempo lì, nel complesso oggi passato a Fondazione Cassamarca, erano oltre 300 uomini: ufficiali, graduati e militari. Altri tempi, di naja e «stecche», di Car e comandi, di battaglioni e reggimenti, di visite di leva e scuole, di officine e supporti logistici, non solo umani. L’ultimo trasferimento è stato quello - Difesa, ma sponda carabinieri – della V divisione mobile «Vittorio Veneto», a villa Margherita. Diventano un piccolo monito e un richiamo alla memoria, alla vigilia del centenario delle Grande Guerra, quei «1915» che la pietra scolpisce sotto le teste equine sporgenti dal muro della Salsa, lungo l’omonima via.

A proposito: la caserma di Santa Maria del Rovere, che evoca l’antica piazza d’armi e una memoria cittadina non solo militare, è da anni uno dei nodi urbanistici con i suoi 70 mila metri quadri. Ma cosa dire allora della «piccola metropoli» della Boltar, che è grande il doppio, e dalla stazione ferroviaria e dunque dal centro non dista certo di più, anzi? E’ talmente vasta che doppia la stessa «Salsa».

C’è chi dice che portando fino in fondo la faticosa spending review di questi anni - tanto più se si svuoterà la Cadorin - per la città, o per i privati in caso di alienazione pura (è andata così per l’ex caserma della Guardia di Finanza di via Riccati, inserita nella supercittadella ceduta a Est Capital) - si libereranno spazi infiniti. Da reinventare, recuperare, ripensare. E certo all’estero esempi e modelli virtuosi non mancano.

Poi, è vero, la Difesa deve conciliare costi e logistica, specializzazioni e peculiarità tecniche, prima di procedere a razionalizzazioni e accorpamenti. Ma che la «Treviso militare» di un tempo sia oggi sovradimensionata rispetto alle esigenza, agli uomini (e dunque anche alle risorse disponibili) dato assodato fra gli stessi militari: ma nessuno, specie fra gli altri gradi, ama dichiararlo ufficialmente.

Vero è che poi c’è anche un aspetto tecnico e strutturale. Non serve essere specialisti, per capire che ci sono caserme e comandi appena abbandonati - villa Margherita un anno fa, o la «Serena» pochi anni or sono- e altre che invece languono da decenni e decenni.

Ma intanto, l’annuncio del prossimo trasloco della Cadorin dalla Feltrina apre una questione tutt’altro che secondaria. E riapre anche un’antica ferita, perché la caserma ha «coperto» quello che fu il campo di concentramento del fascismo, luogo di dolore e lutti, come testimonia la targa all’università di San Leonardo. Al di là di questo incancellabile «ferita» storica, che riguarda la Cadorin, più in generale la Treviso militare finisce dritta dritta nel dibattito sui buchi neri innescato dalla grande mappa dei contenitori vuoti pubblicata dalla «Tribuna» nel 2012, poi rilanciata da Italia Nostra e rimbalzata inevitabilmente nella campagna elettorale delle comunali 2013. Forse mai come adesso Treviso ha spazio da riempire. E la beffa è che lo scopre dopo aver seminato per decenni nuovo cemento privato e pubblico, desolatamente inutile e vuoto.

©RIPRODUZIONE RISERVATA

Riproduzione riservata © Tribuna di Treviso