Omicidio di Anica, l’alibi di Battaggia: «Era viva dopo il loro ultimo incontro»

L’avvocato Crea porta in aula i tabulati dei telefoni e chiede l’assoluzione: «Contro l’imprenditore soltanto labili indizi»

Marco Filippi
I carabinieri del Ris di Parma davanti alla casa di Franco Battaggia ad Arcade
I carabinieri del Ris di Parma davanti alla casa di Franco Battaggia ad Arcade

«Anica Panfile non è stata uccisa, come dice la procura, tra le 16.07 e le 16.24 del 18 maggio 2023, mentre si trovava a casa di Battaggia. Ma è stata assassinata alle 17.46 quando il cellulare della vittima si spegne definitivamente e Franco Battaggia era a chilometri di distanza, a Mogliano dove era andato a prendere il fratello».

È al termine della sua arringa, durata oltre cinque ore, che il difensore dell’imputato, l’avvocato Crea fornisce in aula quello che lui definisce “l’elemento di prova decisivo dell’innocenza di Battaggia”.

E spiega: «I tabulati fornitici dal gestore telefonico - spiega Crea - ci dicono che il cellulare di Anica dalle 16.52 alle 17.11 era in connessione dati. Ciò significa che stava ancora operando sul cellulare quando Battaggia, come ci dicono le telecamere in entrata dell’autostrada di Treviso nord, alle 17.02 varca con il suo pick-up bianco il casello per andare a Mogliano a prendere il fratello».

Un dato tecnico inconfutabile e incontrovertibile, lo definisce Crea che al termine della sua arringa ha chiesto ai giudici della Corte d’Assise di Treviso l’assoluzione per non aver commesso il fatto di Franco Battaggia, l’imprenditore del settore ittico di Arcade accusato dell’omicidio di Anica Panfile, la donna rumena, madre di quattro figli, il cui corpo era stato ritrovato il 21 maggio 2023 senza vita in un isolotto del Piave a Spresiano.

Il legale, nel corso della sua lunga e articolata arringa difensiva, ha parlato di “lacune investigative”, di “assenza di un movente” e di “ipotesi alternative che non sono state approfondite”.

«Un’indagine a senso unico - ha detto - in cui, fin dall’inizio, Battaggia è stato considerato l’unico possibile assassino di Anica Panfile».

In realtà, secondo l’avvocato Crea, le indagini non hanno fornito alcuna prova di colpevolezza dell’imputato. «Battaggia - ha detto - è stato intercettato al telefono, in auto e a casa. Mai un elemento a suo sfavore è stato raccolto in 8 mesi di intercettazioni».

E le tracce di Dna di Anica Panfile sul tappeto? «Non può costituire alcuna prova - ha ribattuto il difensore. È risaputo che Anica frequentava casa Battaggia ad Arcade, faceva le pulizie e anche sesso. Non a caso tracce di lei miste a quelle dell’imputato sono state trovate anche nel materasso della camera da letto. Diverso sarebbe stato se tracce della vittima fossero state trovate su un martello o sul cassone del pick-up bianco».

Il gestore della pescheria “El Tiburòn” di Spresiano era “l’unica persona a volere veramente bene ad Anica”. «L’aveva aiutata - ha precisato Crea - ad uscire dalla prostituzione, le aveva dato un lavoro, le regalava il pesce per dare da mangiare ai figli e le regalava anche denaro».

È a questo punto che il difensore di Battaggia fa un affondo alla procura, sostenendo che nel corso delle indagini non sono state prese in considerazione le ipotesi alternative.

Quali? «L’ex marito rumeno, Vasile Longu, che non si faceva scrupoli a fare prostituire Anica in un locale notturno, che le chiedeva sempre soldi e la minacciava di “mandarle gli albanesi”».

Ma anche: «La pista degli albanesi - ha detto Crea - che erano arrivati il 1° maggio per minacciarla sotto casa, di cui lo stesso compagno della vittima, Luigino De Biasi, fa menzione al telefono, senza sapere di essere intercettato con l’ex cognata di Anica».

Anche tale Bogdan, un cugino di Anica, intercettato al telefono dai carabinieri, mentre parla con una donna dice, riferendosi all’omicidio: “Questa non è una mano di un italiano. Quel vecchio lì non sarebbe stato in grado di ridurla in quelle condizioni vista la robustezza di Anica. Mia cugina non doveva giocare con gli albanesi perché quelli te la fanno pagare di brutto».

Un’intercettazione letta in aula dal difensore di Battaggia, che ha aggiunto: «Sul corpo di Anica sono state trovate botte e anche segni ai polsi di afferramento, come se qualcuno l’avesse tenuta ferma mentre un altro la picchiava e soffocava. Anica è stata uccisa da più persone. Battaggia da solo non poteva bloccarle le mani e poi soffocarla. Quando, nei giorni successivi alla scomparsa della donna, i carabinieri hanno sentito Battaggia, nessuno ha visto segni di colluttazione o botte».

Infine la presenza di Battaggia nella zona del Palazzon II, già ribadita in altre udienze, la sera del 18 maggio: «Battaggia quella sera cercava compagnia e si sa che quello è un noto ritrovo di prostituzione. Lo aveva detto subito ai carabinieri. Non era andato lì per disfarsi del corpo di Anica dal ponte sul canale della Vittoria».

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