Noïr e Paterna mettono il cappello in cucina La Marca a tavola conferma le sue eccellenze

Tra chiusure e dubbi cresce il gradimento per il Feva di Castelfranco e l’Osteria alla Chiesa di Monfumo che si appaiano al Gellius di Oderzo
Marina Grasso

la guida

Due nuovi indirizzi da tenere d’occhio e un’encomiabile tenuta generale, nonostante l’annus horribilis. È questo, in sintesi, il ritratto della ristorazione di Marca tracciato dagli autori della guida I Ristoranti d’Italia de l’Espresso 2021.

Cominciamo dalle novità, che si aggiudicano entrambe il cappello che identifica i locali della “buona cucina”. La prima, aperta nell’agosto 2019 e subito messa alla prova dalle difficoltà del 2020, è in questi giorni ripartita di slancio nel centro di Ponzano, all’incrocio con via Fontane. È il ristorante Noïr di Nicola Cavallin e Rocco Santon: “Due giovani cuochi e una grande passione realizzata investendo in un bel locale, luminoso ed elegante” in cui, afferma la guida, “tecnica ben espressa, ingredienti di prim’ordine e uno spiccato senso del gusto connotano piatti realizzati con grande cura”. La seconda ha una storia un po’ più lunga: è La Paterna di Giavera del Montello, agriturismo trasformato in elegante ristorante di campagna da Giovanni Merlo, chef e patron che “si muove con perizia tra rigore assoluto nella scelta dei prodotti, soprattutto di carne, e la loro lavorazione grazie ad un’ottima mano in cucina”.

I 2 cappelli, che segnalano cucina di qualità e di ricerca, si moltiplicano: li mantiene il Gellius di Oderzo di Alessandro Breda (“cuoco dalle capacità conosciute, dall’anima ancestrale e dallo spirito rivoluzionario”); li conquistano il Feva di Nicola Dinato e della moglie Elodie a Castelfranco (dove i piatti “sono ben eseguiti, con tecnica solida e un piglio creativo che, attento al gusto, mai sfocia nel velleitario”) e l’Osteria alla Chiesa, di Claudio Gazzola e della moglie Giada, a Monfumo (“una passione smodata per una ricercata cucina d’istinto che mantiene il gusto come elemento centrale”).

A Treviso, dove si è conclusa l’esperienza di Undicesimo Vineria (3 cappelli dal 2018 al 2020), resta 1 cappello a Le Beccherie, dove la cucina di Manuel Gobbo e Beatrice Simonetti “esprime una sua precisa personalità”, “le scelte risultano azzeccate, i gusto si rivelano pieni e morbidi”. Resta anche, senza cappelli ma all’insegna di una straordinaria continuità, Il Basilisco di Diego Tomasi, “una cucina che nella sua semplicità rappresenta una garanzia” (per giunta, con conto contenuto, come segnalato).

Scorrendo le pagine del volume nel rigoroso ordine alfabetico per località, si incontrano numerose conferme: ad Asolo, un cappello per la cucina del Due Mori di Stefano de Lorenzi (cui va anche una menzione per la carta dei vini) e della Locanda Baggio dell’omonima famiglia di Nino e Antonietta. A Roncade, recensione ma nessun cappello per il Perché, che si distingue anche per la linea “Pizzaperché” in una guida che nell’apposita sezione dedicata alle pizzerie non ha ritenuto degno di nota alcun locale trevigiano. Confermato il cappello anche alle Marcandole di Salgareda, dove i fratelli Alessandro e Roberta Rorato continuano ad essere “un solido punto di riferimento per chi ama il pesce di mare e di fiume”, con menzione anche della bella carta dei vini. Così com’è per Dalla Libera di Sernaglia della Battaglia (“sarebbe auspicabile imbattersi più spesso in locali come questo”) dove Andrea Stella continua a creare i suoi piatti “al di là di quel che accade nell’ambito delle tendenze spesso omologanti”.

Tra i segnalati, inoltre, Antica Torre e Toni del Spin a Treviso; Osteria Pironetomosca a Castelfranco. Rispetto al 2020, un assente che si è momentaneamente arreso in seguito terribile anno di aperture a singhiozzo: il Cardus di Vittorio Veneto. Ma della interessante cucina di Paolo Balbinot si tornerà sicuramente a parlare presto. —



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