Nardi, furto di progetti prima del fallimento

SERNAGLIA. Amarcord Nardi, tra i ricordi di ieri e le beffe di oggi. Il fallimento della storica azienda di Sernaglia, costato il posto di lavoro a 102 persone, divide gli operai tra “sentimentalisti” e arrabbiati. I primi ricordano che l’azienda ha fatto la storia del Quartier del Piave (e non solo) prima di essere sferzata dai venti della crisi, a partire dal 2012. Gli altri rivendicano i crediti cui hanno diritto: due milioni e mezzo di euro spalmati tra 150 ex dipendenti. Oggi incontro in azienda fra lavoratori, sindacalisti e dirigenti (collegati in videoconferenza dalla sede centrale di Milano): le maestranze chiederanno l’invio immediato delle lettere di licenziamento per potersi iscrivere alle liste di mobilità, visto che con il fallimento nessuno ha più diritto alla cassa integrazione. In queste ore anche l’azienda ha motivi per recriminare: il titolare, Marco Nardi, ha denunciato il furto di sei “concept”, sei progetti per altrettanti elettrodomestici da cucina ad alta tecnologia, durante l’ultima fiera di Milano, ad aprile. «Gli elettrodomestici Nardi vanno a ruba» ha commentato amaro il patron della società, nipote dello storico fondatore Gianni Nardi, il capitano d’industria originario di Farra ed ex vice presidente del Milan. E in quell’ultimo furto c’è ancora un po’ di orgoglio dei tanti che hanno lavorato nello stabilimento di via Marconi. Perché solo pochi anni fa i piani cottura, i forni e i lavelli marchiati Nardi andavano a ruba davvero, ma in senso buono. «Sono sicuro che alcuni ordini sono ancora là, negli uffici» racconta Silvano, storico operaio e tuttofare, in Nardi da 24 anni «io lì dentro ci ho lasciato il cuore, era un lavoro che mi piaceva, negli anni migliori si lavorava tanto e si facevano straordinari, senza orario». E poi? «Dal 2008 abbiamo iniziato a fare cassa integrazione, ci avevano fregato le ferie dicendoci che sarebbe stata “una brutta figura per l’azienda andare in cassa”. Da lì è andata sempre peggio. Le commesse sono sempre arrivate, mancava la liquidità per comprare i materiali e pagare gli operai». L’anima arrabbiata dei dipendenti ha la voce di Nadia De Vecchi: «Ho lavorato in Nardi per 16 anni, mi sono licenziata a ottobre e poi non ho visto un euro, sono in credito di nove mensilità più il Tfr. A Milano gli operai che hanno fatto ingiunzione di pagamento sono riusciti ad avere qualcosa». Ieri l’ultima beffa: «Sono andata a ritirare il Cud, ho scoperto che mi hanno inserito 16.500 euro di acconti, quando in realtà erano solo 8 mila. Così dovrei dichiarare il doppio rispetto a quello che ho guadagnato? Ho chiamato a Milano, non risponde nessuno». Sul tavolo resta una flebile speranza: «Alcuni imprenditori italiani hanno manifestato interesse per una parziale ripresa dell’attività» svela Paolo Agnolazza, Fim Cisl. Pare che si tratti di ex fornitori in credito con la Nardi, ma tra i 102 rimasti a casa non è più tempo di illusioni. (a.d.p.)
Riproduzione riservata © Tribuna di Treviso