Morti per esposizione all’amianto Caso chiuso dopo cinquant’anni

La Cassazione respinge il ricorso di un manager della Dalmine, oggi 85enne, di origine coneglianese Il dirigente era stato condannato per omicidio colposo, non ci sarà alcuna revisione del processo
CONEGLIANO. Un ex manager di origini Coneglianesi, Giorgio Lania, 85 anni, non ha ottenuto la revisione del processo che l’aveva visto condannato per omicidio colposo insieme ad altri due dirigenti, a seguito delle morti da amianto avvenute in una fabbrica di Bergamo tra gli Anni ‘60 e ‘70. Nei giorni scorsi la Cassazione ha reso noti i motivi per cui ha bocciato il ricorso e confermato quanto avevano già stabilito i giudici di secondo grado. «Gli elementi indicati dal ricorrente – scrive la Cassazione - non costituivano affatto prova nuova, ma soltanto una ipotesi di prova (definita "una suggestione"), di carattere meramente esplorativo e priva della necessaria specificità». Lania, oggi residente nel Bergamasco, era stato direttore della Dalmine di Sabbio Bergamasco dal settembre 1973 al dicembre 1975, azienda per la quale lavorò molti anni con diversi incarichi dirigenziali. Con lui in due procedimenti penali, che si sono celebrati in primo grado a Bergamo e in secondo Brescia, finirono altri due direttori alla guida dello stabilimento tra gli Anni ‘60 e ‘70. L’accusa contestava ai tre dirigenti di non aver preso le precauzioni necessarie perché i dipendenti non venissero a contatto e inalassero l’amianto durante le lavorazioni. Questo secondo l’accusa portò come conseguenza l’asbestosi, malattia polmore cronica, e mesotelioma pleurico, un tumore maligno. Ai tre in un primo processo fu contestata la morte di 18 operai, in un secondo di altri 16. Così arrivarono le condanne tra i due e tre anni di reclusione per omicidio colposo e lesioni. Nell’ottobre 2012 la Corte di appello di Brescia pronunciò una sentenza che è diventata definitiva nel 2014. L’ex direttore, attraverso il proprio legale, aveva quindi domandato la revisione del processo. Secondo la difesa, i giudici non avevano tenuto conto di articoli di giornale e documentazione medica, relativa a uno degli operai di cui si contestava il decesso, Salvatore Murru. L’uomo aveva lavorato in precedenza in un’altra fabbrica e lì si sarebbe ammalato, come altri. Nel settembre 2016 la Corte di Venezia aveva rigettato la richiesta di riaprire il procedimento penale. La Cassazione, con sentenza resa nota adesso, ha bocciato l’ipotesi di revisione. «La Corte di appello ha sottolineato che gli articoli di stampa e la documentazione medica offerti a sostegno della domanda, in uno con la certa presenza del Murru presso la Lastex alla fine degli Anni '60, non potevano costituire indizio (men che mai prova) che lo stesso avesse contratto il mesotelioma prima dell'arrivo in Dalmine – sottolinea la Cassazione - non risultando affatto accertato che il soggetto fosse stato esposto nella prima fabbrica, effettivamente e concretamente, per il tipo di lavoro svolto, alle polveri di amianto, sì da contrarre la malattia».


Diego Bortolotto


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