Nikko morto nel rogo di casa: il tormento del passato e la musica come via di fuga
I ricordi degli amici del 34enne deceduto nell’incendio a Montebelluna: «Aveva fatto della musica la sua via di fuga dalle sofferenze dell’infanzia». Aveva suonato come batterista in una band, poi si era dato al rap

«Nikko never dies». Lo ripeteva come un mantra Nikkolay Kalusenko Vladimirovic. Tanto da tatuarsi sul petto un grande fenice come promessa di rinnovata forza. Martedì mattina, le fiamme e il fumo che lo hanno avvolto nell’abitazione abbandonata di via Col Moschin a Montebelluna non hanno lasciato spazio alla rinascita.
A raccogliere i frammenti dei suoi trentaquattro anni di vita sono le persone che assieme a lui hanno percorso un pezzo di strada, quelle che sapevano bene che «non è mai stato Niccolò Martini, ma Nikkolay, Nikko per chi gli era ancora più vicino».
La sua è una storia affidata anche alla musica, una passione in cui «è inciampato» e che ha trasformato nel suo angolo felice. «Parlo a voce bassa», scriveva nel suo profilo Instagram, «ma sul palco posso urlare». Ha affidato sè stesso prima alle bacchette della batteria e poi al microfono. Come nel suo brano “Oblio”: «Son talmente difficile, un essere diverso indefinibile/ Paranoie ne ho avute tante/ Tutto ciò mi ha reso un cantante/ E se un cantante non lo sono resto un semplice uomo/ Che prova dare voce ad un piccolo dono/ Soffoco al minimo frastuono faccio questo e mi emoziono».
Le radici russe
«Preferiva presentarsi con il suo vero nome Nikkolay. Era un modo per non rinnegare le proprie radici. Ha passato tutta la vita a cercare di ricostruire la sue origini e rintracciare i genitori biologici».

A raccontarlo è Laura, un’amica storica con cui Nikko ha avuto una relazione di un anno e mezzo. «Da bambino era stato affidato ai nonni. La parola “babushka” - nonna in russo - era l’unica della sua lingua che teneva a mente. Lo hanno cresciuto fino a che è stato possibile. Vivevano in povertà, la nonna lo mandava a procurarsi qualche vestito appeso sugli stendini dei vicini per avere qualcosa con cui coprirsi. Quando i soldi sono finiti, sono stati costretti ad affidarlo ad un istituto in cui i bambini dovevano accontentarsi di una doccia gelata. L’unico conforto erano le visite della nonna accompagnate dagli ovetti di cioccolato», racconta, «quando aveva sei o sette anni è stato adottato da una famiglia di Montebelluna. Nikko non ricordava i nomi dei suoi genitori. Non ha mai smesso di cercarli. Con la sua famiglia italiana il rapporto è stato complesso. A diciotto anni è uscito di casa per ricominciare ancora una volta. Ma non ha mai avuto paura. In ogni momento di crisi ha trovato il coraggio di reinventarsi. Non sempre, però, è riuscito a fare scelte giuste. Le sofferenze del suo passato lo seguivano come ombre».
I ragazzi del Tocc
Durante gli anni di studio all’istituto agrario di Montebelluna, Nikko è stato un frequentatore assiduo dell’Osteria Tocchetto, all’epoca punto di ritrovo dei musicisti locali.
«Piaceva a chiunque lo incontrasse, tutti restavano profondamente colpiti», racconta Davy, il frontman della band trevigiana Van Nuys con cui il ragazzo ha suonato diversi anni come batterista a partire dal 2009.

«Quando è venuto in sala prove per la prima volta ci siamo accorti subito che era un talento», continua, «era un creativo, suonava da autodidatta, aveva una voce bellissima e una grande passione per la scrittura».
I ricordi si affollano in quegli anni di serate musicali in giro per il Veneto. «Le nottate iniziavano sempre da Tocc», racconta Matt, il bassista dei Van Nuys, «Nikko era così pieno di vita che ogni volta se ne usciva con una proposta inaspettata. Non sopportava notare anche solo un velo d’infelicità negli occhi di chi aveva di fronte. Era l’anima della festa. Un ragazzo molto diverso dalla persona schiva e silenziosa di cui raccontano negli ultimi tempi».
Gli amici del Tocc e i Van Nuys sono stati una famiglia. «Difficilmente dimenticherò l’emozione nel suo sguardo quando registravano l’album e provava e riprovava con dedizione lo stesso pezzo alla batteria per renderlo perfetto», racconta Laura, «erano i momenti in cui era più presente a sé stesso». I Van Nuys, sebbene non suonino più assieme, promettono un tributo: «Cercheremo di rendere omaggio ad un amico, fratello, compagno di avventure: il nostro batterista, un membro della famiglia».
Ennekappavi
Dopo anni dedicati al rock, Nikko si è avvicinato al rap. «È una delle menti più creative che io abbia mai conosciuto. Aveva una capacità incredibile di utilizzare le parole», osserva Laura, «con il suo progetto “Ennekappavi” aveva deciso di mettersi in gioco con le rime in italiano».
E con la musica ha continuato instancabilmente a fronteggiare i suoi demoni. «Scrivere per uccidere il mostro che vive dentro di me», canta in “Mai come vuoi”, «provare a sconfiggerlo, altrimenti lui sconfigge me».
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