Malvestio e De Poli Ritratto al vetriolo del presidente paròn

Al presidente, usando l’arma dell’ironia, riconosce solo un’autorità: quella sul bollito misto e sulla conoscenza dei ristoranti di mezzo Veneto, Su tutto il resto – dalla politica alla banca – Massimo Malvestio distilla un ritratto al vetriolo degno della singolar tenzone che da molti anni li vede contrapposti. Nel suo ultimo libro, in uscita in questi giorni, «Mala gestio, perché i veneti stanno tornando poveri», l’avvocato trevigiano Massimo Malvestio fa la storia della resistibile ascesa di Dino De Poli.
Da «modesto politico» della sinistra democristiana e «avvocato sulla via del tramonto» a mecenate adulato da mezza città. Del presidente di Fondazione Cassamarca, Malvestio ricorda gli interventi ai congressi Dc, ascoltato «più che altro per le sue spumeggianti allegorie, per le battute geniali e per quell’indifferenza assoluta che dimostrava per le contingenze dei fatti e dei numeri». «De Poli parlava partendo dall’Onu, Sant’Agostino e San Tommaso, il Papa: sembrava guardare la provincia dal satellite».
Poi, nel 1987, la nomina a presidente della Cassa di risparmio: «Anche lui decise che di lì non se ne sarebbe più andato». Malvestio ricostruisce l’arrivo –dalla sera alla mattina – alla direzione generale di Franco Benincasa, il restauro di casa dei Carraresi, l’inizio dell’adulazione, attribuita alla stampa locale, che cominciò a definirlo «mecenate».
A De Poli rimprovera le cattedre dell’Umanesimo latino sparse per il mondo, il titolo di professore onorario dell’università del Kirgistan, le nomine insignificanti nel consiglio della Fondazione.
Passaggi feroci anche verso Franco Andreetta, sindaco Dc di San Polo quand’ era giovanissimo, poi scelto dal consiglio comunale di Treviso a rappresentare Ca ’ Sugana nel consiglio di indirizzo.
Caustico sul tenore di vita di De Poli: «Oggi la Fondazione di Treviso non produce redditi neppure per pagare le proprie spese di struttura con un presidente che a dispetto di tutto e di tutti continua ad avere un compenso che è un multiplo rispetto a qualsiasi amministratore della cosa pubblica della provincia. Oltre ad un costosissimo autista e a un tenore di spesa che ho già pubblicamente definito da sultano del Brunei» – scrive Malvestio.
La conclusione è amara e realistica: «A Siena sono riusciti a perdere il controllo di una banca che ha 500 anni di vita e che costituisce la linfa su cui si regge un’intera provincia. A Treviso, dove la banca aveva origini soltanto di poco successive, si è persa non soltanto la banca ma anche i soldi».
A De Poli Malvestio riconosce dunque un’unica autorità: quella sul bollito misto, la sopa de tripe, sulle formajele, sulla luganega bianca e sui risi all’onda: «Uno dei primi atti da presidente della banca fu acquistare una potente berlina inglese. I gourmet di tutta l’Alta Italia e anche all’estero cominciarono a riconoscere quell’auto da lontano nei parcheggi dei ristoranti: in effetti aveva un valore segnaletico superiore alle stelle Michelin. Nessuno più di De Poli conosce i ristoranti e pochi in vita hanno mangiato più di lui, come testimonia la sua stazza monumentale».
Daniele Ferrazza
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