Le Iene e i sei nuovi figli del professor Calò

Antonio Silvio Calò ora ha nove figli. Cioè, i suoi tre figli biologici su quattro che ancora vivono sotto il suo tetto più i sei nuovi: giovani rifugiati provenienti dal Gambia. «Ora anche loro mi chiamano papà»: il professore di lettere del Canova, che da circa cinque mesi ha aperto le porte di casa sua a un gruppo di rifugiati, ha raccontato la sua esperienza alla trasmissione televisiva “Le Iene”.
Porte di casa aperte, insomma, non solamente ai rifugiati: anche a chi volesse andare a vedere come vivono, studiano, cercano di integrarsi e trovare un futuro. I sei giovani ospiti di Calò vanno tutti a scuola di italiano: «È fondamentale la conoscenza della lingua, con loro sono stato chiaro: devono imparare a essere italiani», ha raccontato il professore alla “Iena” Gaston Zama. Calò ha messo a disposizione anche tutti i suoi libri. «Non sono geloso delle mie cose, ciò che è intoccabile sono i miei principi».
Un’esperienza di vita forte, decisamente insolita, e capace di dare tanto. Il padrone di casa ha anche fatto anche i turni per le pulizie, cucina compresa. «Uno giorno, vedendo i morti in tivù, ho detto: basta, dobbiamo fare qualcosa», così Calò racconta com’è nata la volontà di dare ospitalità, «Alcuni vicini di casa sono contenti, altri mi salutano a denti stretti. A loro dico: venite e vedete».
Uno degli ospiti, Seyou, ha raccontato la sua terrificante esperienza: rapito in Libia, rinchiuso con quasi cento persone, picchiato e lasciato in stato di denutrizione. Ha dovuto comprarsi la propria libertà: 750 dollari, vendendo il taxi e la licenza che rappresentavano tutto, per lui. Non aveva più soldi per arrivare il Italia, allora si è messo a lavorare. «Essere neri in Libia è come essere animali, non umani. Ti uccidono e ti buttano via. Ora abbiamo incontrato Antonio e la sua famiglia: siamo gli immigrati più fortunati di tutti».
Ieri intanto in questura sono arrivati tre afghani e un pakistano, transitati dal Brenneero: sono stati identificati e sistemati uno alla “Serena” e tre in appartamenti gestiti dalle cooperative.
Fabio Poloni
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