La storia. Da Borgo Capriolo a ghetto, la scelta 20 anni fa. Branko tra i tanti inquilini fantasma

TREVISO. Quella di concentrare a Borgo Capriolo le famiglie rom è stata una scelta fatta più di vent’anni fa, quando il problema esplose nelle mani dell’allora prima amministrazione Gentilini. È da quegli anni che nasce, di fatto, quello che oggi gli stessi residenti del rione non hanno paura a chiamare «ghetto».
Il complesso residenziale di case popolari è stato edificato sul finire degli anni Ottanta e inaugurato nel 1993. Gli appartamenti sono stati assegnati sulla base di una graduatoria conseguente a un bando che venne emanato negli anni difficili del passaggio dall’ultima giunta democristiana guidata da Gagliardi al commissario prefettizio Giannuzzi.
Anni che si conclusero nel 1994 con l’elezione a sindaco di Giancarlo Gentilini. Fu il primo cittadino, non ancora “sceriffo”, a trovarsi in mano una graduatoria stilata secondo criteri di un’altra amministrazione di Ca’ Sugana e così lasciati anche dal commissario prefettizio. «Non vi era modo di intervenire sulla lista dei nominativi» raccontano alcuni dei protagonisti della gestione delle case popolari dell’epoca.

Nella graduatoria tanti trevigiani, tanti stranieri della prima ondata degli anni Novanta, ma anche tanti sinti e rom. Le prime assegnazioni dei nuovi alloggi al confine di Santa Bona furono così miste: in parte a nomadi, in parte a italiani, in parte a stranieri. Ma di lì a pochi anni il problema della convivenza esplose.
C’è memoria di parecchi interventi della polizia nel nuovo Borgo Capriolo, uno di questi – racconta un inquilino storico – a seguito dell’aggressione a un trevigiano (pare fosse anche finanziere visto che una quota degli appartamenti era data alle forze dell’ordine), picchiato per aver litigato con alcuni assegnatari rom proprio per la mala gestione dei loro spazi.
Il problema del Borgo giorno dopo giorno pesava sul tavolo della giunta leghista, a quel tempo durissima nelle battaglie contro meridione, ma anche furbi e delinquenti in genere. Come risolverla?
A proporre una via d’uscita fu l’allora presidente Ater Pierantonio Fanton che propose di trasferire tutti i residenti “non problematici” nelle abitazioni di via Mantovani Orsetti, da poco e realizzate in zona Stiore, lasciando di fatto a Borgo Capriolo i più problematici e difficili. Quelli erano impossibili da traslocare, ancor più da cacciare.
Si scelse la via informale: vennero fatti inviti ad alcuni residenti a richiedere il trasferimento da Borgo Capriolo. E così avvenne: una dopo l’altra le famiglie meno problematiche trovarono nuova casa, i rom invece rimasero lì.
Poi arrivarono le nuove assegnazioni che trasformarono Borgo Capriolo in un territorio di confine o al confine, anche della legalità. Perché con i bandi a venire e le nuove graduatorie tutte le famiglie a cui veniva offerta la possibilità di un alloggio in zona rifiutavano, salvo altre famiglie nomadi che avevano partecipato al bando di gara ed erano molto spesso imparentate con chi già viveva in quel Borgo.
Ultima goccia fu poi il trasloco lì del campo nomadi di via da Milano, che venne operato con contratti tra le famiglie rom e Ater: affitto temporaneo vincolati al rispetto della legge. Così la carovana venne smantellata e trasformata in stanzialità; parte in via Bindoni, parte proprio nel complesso di Santa Bona.
«Non so se e cosa farà Conte» dice Gentilini, sotto i cui occhi Borgo Capriolo è diventata ghetto, «a me quell’area ricorda tante cose, ma tutte poco piacevoli. Ci siamo sempre andati a mettere il naso cercando di mettere ordine ma... Ora ormai non la frequento né mi interesso più. Preferisco non parlarne».
E si è arrivati così ai giorni nostri, all’attualità di un quartiere borderline dove non si sa più chi davvero viva all’interno di alcuni degli appartamenti. Gli assegnatari assai spesso si sono trasferiti altrove lasciando all’interno delle abitazioni parenti o figli, che a loro volta hanno accolto altre persone non registrate. Così è stato anche per Branko Durdevic, l’autore della sparatoria di lunedì pomeriggio.
Branko a Borgo Capriolo esisteva per tutti, ma non per i gestori degli appartamenti (prima Ater, poi la Peruzzo Immobiliare, sempre con il Comune). Il suo nome non era tra gli assegnatari né tra chi negli appartamenti aveva il domicilio. A suo carico solo una richiesta di “ospitalità” che però non aveva più avuto corso dopo il suo arresto di mesi fa (Branko era da poco uscito di galera, mentre il figlio della persona a cui ha sparato – suo zio – è oggi detenuto). Eppure Branko a Borgo Capriolo viveva da mesi, se non anni, lo sapevano tutti, tranne i registri.
È un rione dove gli inquilini fantasma sono un problema reale, il via vai di gruppi poco raccomandabili una realtà più volte segnalata; la morosità una piaga congenita.—
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