La rapina alla Tupperware per finanziare la mafia

Quattro arresti da parte del Ros per rapina, tra questi anche anche il boss Galatolo che, da sorvegliato speciale, continuava a gestire attività criminali
La Tupperware di Ponanzo, rapinata per finanziare la mafia
La Tupperware di Ponanzo, rapinata per finanziare la mafia

Quattro persone sono state arrestate dai Carabinieri del Ros con i colleghi di Venezia per rapina aggravata in concorso. L'ordinanza cautelare  stata emessa a conclusione di un'attività indagine, coordinata dalla procura distrettuale Antimafia di Venezia, nata dalla presenza e operatività sul territorio veneziano del boss mafioso Vito Galatolo, già esponente di spicco della famiglia dell'Acquasanta di Palermo (figlio del capo mandamento Vincenzo Galatolo, detenuto all'ergastolo per l'omicidio del Generale Dalla Chiesa), oggi collaborante.

Vito Galantolo, pur sottoposto all'epoca alla sorveglianza speciale, aveva dato vita ad un'organizzazione composta prevalentemente da palermitani. Le indagini dell'Arma hanno permesso di svelare, l'estate scorsa, tutte le fasi di una tentata rapina nei confronti di un'agenzia scommesse di Mestre e di una invece riuscita il 16 giugno alla concessionaria Tupperware di Ponzano dove gli indagati sono stati tutti arrestati. Il Ros ha scoperto che il gruppo stava per colpire un'oreficeria e un esercizio pubblico di Mestre.

L'organizzazione è stata quindi definitivamente decapitata dall'arresto di Galatolo il 23 giugno 2014 su provvedimento cautelare della Dda di Palermo (operazione "Apocalisse"). L'uomo ha iniziato poi a collaborare con gli inquirenti palermitani, fornendo informazioni in ordine al progetto di attentato al pm Nino Di Matteo.

L'operazione, che ha portato anche a perquisizioni, costituisce una porzione di più ampia attività investigativa ancora in corso per comprendere quale fosse la portata dei collegamenti e delle connivenze imbastite da Galatolo sul territorio veneziano negli ultimi anni. Particolare attenzione stata prestata al comparto turistico-fluviale della citt di Venezia nel quale il boss era inserito. Secondo gli investigatori l'indagato, prendendosi gioco degli obblighi della sorveglianza speciale, non solo ha continuato a dirigere la famiglia mafiosa dell'Acquasanta, ma ha coordinato le attivit criminali anche sul territorio veneziano, avvalendosi di complici gi da tempo al Nord.

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