Iroso, un museo vivente: l’unico mulo alpino compie quarant’anni

VITTORIO VENETO. Singolarissima festa di compleanno, domani ad Anzano, per i primi 40 anni di Iroso, l’ultimo superstite dei muli degli alpini. Nato nel 1978, numero di matricola 212, in forza alle truppe del 7mo Reggimento Belluno, è stato salvato dalla macellazione (lo aveva adocchiato un sudtirolese) l’imprenditore forestale Antonio De Luca, insieme ad altri commilitoni a quattro zampe. Da 25 anni lo hanno in cura gli alpini del Reparto Salmerie di Vittorio Veneto. Domani raduno in via Rive 3, ad Anzano, alla stalla di De Luca, dove sono accolti altri muli. Appuntamento alle 10.30. Alle ore 11.15 vi sarà la benedizione degli animali, sperando che pur anticipandola di qualche giorno (S. Antonio Abate si festeggia il 17 gennaio) sia comunque di buon auspicio per quest'anno che si presenta ricco di iniziative e di impegni. Alle ore 12 rancio alpino all'insegna dell'allegria conviviale. Vi sarà durante la giornata la proiezione di filmati relativi ai muli e alle attività del Reparto Salmerie. Parteciperà, fra gli altri, il presidente dell’Ana Vittoriese, Francesco Introvigne.
Il sogno
«Non ci dispiacerebbe che i muli, almeno simbolicamente, ritornassero fra gli alpini» afferma «La loro esistenza ha intrecciato quella di centinaia di miglia di ‘boce’; perfino nella disavventura, perché l’animale non è del tutto domestico». Domani è atteso anche il governatore Luca Zaia. «Iroso è un museo vivente. Rappresenta l’epopea della naja alpina, la storia delle nostre montagne, è l’icona dei valori della solidarietà e del rispetto reciproco. L’affetto che gli alpini dimostrano per Iroso in verità è l’origine di quel rispetto che hanno per tutti gli animali e la natura». I 40 anni del mulo più storico sono un assoluto record; sarebbero pari ai 120 anni dell’uomo. In forza alla ‘Cadore’, Iroso, quando la leva obbligatoria è stata sospesa, non ha trovato più nessuno che lo conducesse sulle mulattiere di montagna. Così è stato messo all’asta nel 1993 con un bando del Ministero della difesa, insieme ad altri muli (una dozzina, in tutto), ed è diventato il collaboratore di Antonio De Luca nei boschi del Cansiglio. «Mi servivano per il trasporto di legna nel bosco» spiega De Luca «Ma soprattutto io che ero stato un alpino non volevo che questi nostri compagni finissero in mano ai macellai. Mi vengono i brividi, quando penso ai camion delle macellerie posteggiati davanti alla caserma D’Angelo a Belluno». Iroso, quasi cieco, con problemi di dentatura, ma orgoglioso e tonico come una volta, riceve le cure più delicate dagli ex ‘conducenti’; alla sua età e con i problemi sanitari che avanza, deve assumere alimenti speciali, che costano. Gli alpini si tassano per procurarglieli. Se è un militare, quale grado potrebbe avere alla veneranda età di un ‘profeta’? «Naturalmente non può che essere un Generale di Corpo d’Armata» risponde Zaia. «È proprio la sensazione che provo passandogli vicino» ammette De Luca, classe 1946, Battaglione Gemona a Pontebba.
Uno di famiglia
«Se gli passo accanto e tiro dritto, magari senza salutarlo, lui mi chiama a rapporto. Anche se dopo aver lavorato lassù in Cansiglio, è diventato uno di famiglia. Non vede nulla da un occhio e poco dall’altro ma ha ancora voglia di vivere. E di mangiare le mele e le carote portate dai bambini».
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