Investire nei capannoni conviene «Ma solo se piccoli e moderni»

Sorpresa: investire nei capannoni conviene. A patto che siano di recente costruzione, in zone ben collegate dalla viabilità ordinaria, all’avanguardia in tema di consumi e sostenibilità ambientale, vicini ad altre aziende della stessa filiera. E, soprattutto, piccoli. Dai 200 ai 400 metri quadrati, al massimo. Ne hanno parlato, ieri, gli esperti invitati al convegno organizzato al BHR Hotel dal Gruppo Basso, che ha presentato una ricerca dell’Università di Pavia dalla quale si evince come investire in immobili industriali di piccole dimensioni sia più conveniente rispetto ad acquistare azioni o scommettere su altri investimenti. Le grandi piattaforme industriali, invece, restano molto difficili da collocare sul mercato.
Piccolo è bello. «Un conto è il grande capannone industriale disseminato nella campagna, legato a industrie molto specializzate che con la crisi hanno subito delle perdite; un conto sono strutture piccole e medie in aree logistiche ottimali» spiega Ferruccio Bresolin, professore di Ca’ Foscari e membro del team di ricerca di EconLab Research Network. «Questo secondo tipo di capannoni - piccoli asset immobiliari ad uso industriale o artigianale - è collocato in distretti con le imprese collegate tra loro. Sono strutture che spesso hanno superato la crisi, e hanno contratti di locazione blindati a medio e lungo termine. Abbiamo studiato un campione di stabilimenti scoprendo che questi rendono meglio della Borsa, hanno un rapporto rischio-rendimento migliore di altri investimenti finanziari e, nell’edilizia, hanno un grado di sostenibilità ecologica di tutto rispetto». Gli affitti, dopo la palude degli anni scorsi, sono ripresi. Generalmente, a ri-occupare gli spazi sono imprese che offrono servizi, officine, società di informatica, manifatture di settori di nicchia.
Le zone più richieste. Quasi mai si tratta di nuove costruzioni: la legge sul consumo del suolo, di recente approvata dalla Regione, permette raramente di edificare ex novo. Secondo le indagini del Gruppo Basso (specializzato in realizzazione, promozione e commercializzazioni di immobili a destinazione commerciale, direzionale ed industriale) alcune zone funzionano, oggi, meglio di altre. Tre, soprattutto: la Feltrina, Strada Ovest a Treviso, la zona a ridosso del casello autostradale di Conegliano-San Vendemiano. Piccoli spazi industriali e artigianali, uffici di pertinenza di piccole realtà, sedi distaccate di grandi aziende. Mediamente, i contratti di affitto sono almeno di 6-9 anni. I costi di avviamento sono notevoli, per questo si preferiscono gli stabilimenti già “pronti” e ben collegati.
Stop a nuove fabbriche. «Una ripresa della domanda c’è, anche se resta sempre difficile ricollocare le grandi strutture» spiega Alex Fattorini, amministratore delegato del Gruppo Basso, «dopo una forte crisi, ciò che permane è ciò che aveva scelta, raziocinio e senso economico. Noi abbiamo visto che immobili dislocati in distretti con caratteristiche logistiche e tecniche di efficienza e manutenzione consentono di raggiungere elevati contesti di efficienza. Al contrario, gli immobili che ancora oggi sono sfitti erano spesso nati con caratteristiche specifiche per un solo singolo operatore, o distanti da altre aziende e distretti». Si costruisce ancora ma con grande parsimonia: «Bisogna capire se c’è un fruitore finale, se c’è domanda, e questo ce lo può dire solo uno studio approfondito. Investire è possibile, ma con molto raziocinio. Bisogna costruire e riconvertire soltanto quando sappiamo fin da subito che fine dare a quell’immobile».
Andrea De Polo
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