Il virus e i farmaci per ipertesi studio trevigiano nega relazioni

LA ricerca dei medici trevigiani PUBBLICATa su una prestigiosa rivista 

TREVISO

Sono arrivati al Pronto soccorso del Ca’ Foncello nel mese di marzo e sono stati arruolati in uno studio internazionale per indagare se il coronavirus interferisca con i farmaci contro l’ipertensione. Grazie alla disponibilità di 133 pazienti coinvolti, gli esperti dell’azienda sanitaria trevigiana hanno potuto affermare che «i soggetti ipertesi che assumono farmaci Ace-inibitori o sartani non hanno un maggior rischio di complicanze legate all’infezione da Sars-Cov-2» al contrario, questi medicinali sembrerebbero ridurne il rischio.

Il lavoro condotto dal professor Marcello Rattazzi, dalla dottoressa Carla Felice dell’équipe universitaria dell’ospedale di Treviso, nell’ambito dell’unità di Medicina Interna 1 diretta dal professor Carlo Agostini è stato pubblicato sulla prestigiosa rivista internazionale American Journal of Hypertension. «Nello studio, cui hanno contribuito diverse Unità operative dell’Ospedale – spiega il primario Agostini – sono stati inclusi 133 pazienti ipertesi, accolti in Pronto Soccorso durante il mese di marzo per sintomi respiratori o febbre e con conseguente diagnosi di infezione da SARS-CoV-2. Abbiamo valutato se l’utilizzo di specifiche terapie anti-ipertensive, come gli ACE-inibitori e i sartani, potessero influenzare l’andamento clinico di questa infezione modificando parametri come il tasso di ricoveri in ambiente intensivo o semi-intensivo, la necessità di ossigeno-terapia o di ventilazione non invasiva e, in ultimo, il rischio di morte. All’inizio della pandemia era infatti emersa la preoccupazione che l’uso cronico delle due categorie di farmaci tra le più utilizzate dai pazienti ipertesi, potesse favorire il rischio di infezione e l’insorgenza di un quadro clinico più grave. Tale ipotesi si basava principalmente sul possibile effetto di questi antiipertensivi sul recettore ACE2, lo stesso che viene utilizzato dal virus per entrare nelle cellule». La scoperta rientra in una serie di studi clinici che l’Usl di Marca sta effettuando per approfondire le dinamiche dell’infezione da coronavirus, incrementando le conoscenze sui meccanismi di insorgenza della patologia, le sue complicanze cliniche a breve e lungo termine, nonché lo sviluppo della risposta immunologica nei soggetti che ne sono stati colpiti. —

V.C.

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