Il made in Italy artigianale trova casa a Treviso: apre lo showroom dei cappelli firmati Giulia Borile

Produzione artigianale e vendite solo online, ma apre uno showroom in via Roma: «Il punto fisico per vedere e toccare il prodotto, gli affari però oggi sono in rete»

Pietro Nalesso
Giulia Borile, 26 anni, imprenditrice: aprirà in via Roma uno showroom
Giulia Borile, 26 anni, imprenditrice: aprirà in via Roma uno showroom

L’artigianato made in Italy continua la sua storia a Treviso. Giulia Borile, 26 anni, aprirà il suo showroom a ottobre nel condominio Simonetti di via Roma: un punto fisico per vedere, provare e toccare i cappelli del suo brand Olimpia.

Feltro e texano, Borile ha cominciato la sua esperienza due anni fa per caso: voleva produrre maglioni, poi ha creato il suo cappello da sfoggiare a un evento a Cortina.

Ed è piaciuto così tanto che ha deciso di sfruttare i suoi studi in marketing e comunicazione d’impresa per mettere in piedi qualcosa di nuovo: «Ho trovato i fornitori in provincia di Fermo, è una zona particolarmente florida di cappellifici – racconta Borile – poi ho formato le ricamatrici, compongono loro le raffigurazioni che rendono unici i miei prodotti. Prima lavoravano solo con tende e tessuti, ho trovato una figura che insegnasse loro come ricamare sui capelli; ma è un mestiere quasi in via d’estinzione, antico, ci sono poche figure professionali giovani in giro. E questo rende i miei cappelli più prestigiosi».

I disegni sono personalizzabili, a patto che seguano il gusto del brand e che siano legati alla montagna e Cortina, dove tutto è nato: «Il cliente dà lo spunto, ma il nostro core business è l’inverno. Le Olimpiadi invernali sono una grande occasione, siamo nati per cercare di posizionarci nel 2026. Faremo una linea per Milano-Cortina, proponendo ricami sugli sport che si giocheranno, ho clienti che arrivano dalla Finlandia e dal Canada che saranno presenti all’evento, verranno a comprarsi un cappello in occasione dei Giochi».

Ma come si intercettano i clienti senza un punto fisico? «Trovo i compratori soprattutto su Instagram: curo il profilo, rispondo ai messaggi diretti, sfrutto i post sponsorizzati per cogliere il target giusto, collaboro con gli influencer regalando un cappello in cambio di una foto, ma è un’arma a doppio taglio. Chi ha tanti follower ha molti hater, bisogna stare attenti: ho offerto un cappello a Roberto Parodi, ho ricevuto qualche critica di riflesso. Ma lavorare con i social funziona meglio rispetto alle vendite classiche, se lo sai fare bene. Lavoriamo a Treviso perché siamo più comodi con le spedizioni, gli store fisici faranno sempre più fatica. Nel nostro showroom ci sarà solo qualche evento, niente commercio al dettaglio».

Ma l’artigianato made in Italy riscuote ancora successo: «Vendo dei prodotti lavorati a mano, impermeabili, con materiali pregiati e curati nei minimi dettagli; sono soprattutto le donne a comprare i cappelli, ma non sono prodotti per tutti. Il made in Italy fa fatica perché non incontra tutte le tasche, ho trovato la mia nicchia e vado avanti il più possibile».

Nel settore della moda, sono sempre più le donne a emergere con piccoli brand rispetto agli uomini: «Le nostre ricamatrici hanno mano d’oro, hanno una marcia in più. I giovani uomini sono più orientati a occupazioni d’azienda, ma è giusto seguire quello che si sente dentro per entrare nel mondo del lavoro, io l’ho fatto e mi sto togliendo grandi soddisfazioni».

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