Il funerale di Dino Bettamin, morto di Sla dopo la sedazione profonda: «Come Wojtyla ci ringraziò: lasciatemi andare»

MONTEBELLUNA. «Lasciatemi andare al Padre: questo ha chiesto Dino, come lo aveva chiesto Papa Giovanni Paolo II quando volevano ricoverarlo ancora al Gemelli». Questo il concetto che ieri, al funerale, ha voluto rimarcare don Antonio Genovese, il prevosto di Montebelluna che ha celebrato le esequie. Erano in tanti in duomo, ieri pomeriggio, per l'ultimo saluto a Dino Bettamin, il 70enne ex macellaio ammalato di Sla che, primo in Italia, ha scelto di essere sedato profondamente per giungere alla fine della vita senza ulteriori sofferenze.
Il feretro era arrivato alle 16.15 in duomo a Montebelluna. Una bara di noce chiaro con sopra una foto di Dino Bettamin e un cuscino di rose rosse della moglie e dei figli, gli unici fiori perché la famiglia aveva chiesto piuttosto offerte per organizzare un seminario sull'etica del fine vita. Dietro la bara, portata da Anna e Santo, i due infermieri che l’hanno seguito negli ultimi due anni, la moglie Maria, i figli Agnese e Tommaso, il genero, la nuora, i nipoti. Tra le tante persone il sindaco Marzio Favero e il vicesindaco Elzo Severin, nessun rappresentante invece dell'Uls 2, ma solo perché la responsabile del Siad era impegnata a predisporre una relazione su questa vicenda per il direttore generale Francesco Benazzi.
Monsignor Antonio Genovese ha preso spunto dal passo del Vangelo di Luca sulla morte e resurrezione di Cristo per ricordare quale era stata la scelta di Dino, e di come fosse sempre stato animato da una forte fede. Un passo che si allacciava anche alla malattia che lo aveva colpito. «Era il venerdì santo di cinque anni fa quando il medico gli aveva diagnosticato la Sla - ha ricordato il sacerdote - la moglie Maria era rimasta sconcertata, Dino invece ha avuto una uscita disarmante, ha chiesto alla moglie se sapeva che giorno era quello, lei gli aveva risposto che era venerdì e lui aveva ribattuto che era venerdì santo. E ha sempre affrontato con forza e coraggio e con una fede robusta le sue sofferenze.
Lo ricordo alle messe in duomo, lo ricordo al funerale di suo cugino, ricordo la gioia di quando aveva ripreso a parlare e a mangiare quello che era possibile. Mai una volta ha detto: "perchè a me?", mai una parola di sconforto è uscita dalle sue labbra. Dobbiamo dire grazie al Signore per averci donato Dino e dobbiamo dire grazie a Dino per il suo sì alla vita, per il suo coraggio nell'affrontare la malattia».
Il prevosto ha voluto anche ricordare quella sera del 5 febbraio quando Dino Bettamin, dopo gli oli santi e le preghiere, ha scelto di farsi addormentare profondamente: «E con un filo di voce e un sorriso mi ha detto: grazie».
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