I pompieri trevigiani nell'orrore: «Scaviamo ancora, ma troviamo solo morti»

Dopo aver salvato un bimbo il primo giorno, continua incessante il lavoro dei vigili del fuoco nelle zone devastate dal sisma

TREVISO. Si scava, si cerca. Si spera. Si piange. «Abbiamo estratto otto cadaveri». Quello che stanno vivendo ventidue vigili del fuoco trevigiani ad Arquata è un orrore dal quale si tenta di distillare ancora qualche speranza. Sono al lavoro ininterrottamente dal pomeriggio di mercoledì, «ventiquattr’ore al giorno, con pause minime per riprendersi». Ma la missione è più forte della stanchezza: tentare di salvare altre vite.

Mercoledì sera hanno estratto dalle macerie una bimba ancora viva. Giovedì, purtroppo, il bilancio è stato drammatico: otto corpi riportati alla luce da quei cumuli devastanti di detriti e mattoni. Erano tutti morti. I ventidue pompieri trevigiani hanno allestito il campo base ad Arquata del Tronto, piccolo comune di nemmeno 1.800 anime in provincia di Ascoli Piceno, nelle Marche, quasi ottocento metri sul livello del mare. È il cuore della devastazione: Amatrice dista una trentina di chilometri, Accumoli una quindicina. A raccontare al telefono quell’inferno è Giuseppe Quinto, dirigente dei vigili del fuoco di Treviso. «Col passare delle ore, purtroppo, la speranza di trovare ancora dei superstiti cala drasticamente. Abbiamo diviso la squadra in due tra Arquata e la frazione di Pescara del Tronto. Fare stime sul numero di dispersi non è facile, noi continuiamo a cercare». L’ultima segnalazione riguardava due persone in quello che sembra un cratere di devastazione. «Una persona l’abbiamo estratta, ma purtroppo era già morta. Stiamo cercando l’altra».

La contabilità della tragedia sale di ora in ora. Il numero delle vittime ha già superato 250. La sola squadra trevigiana ha recuperato otto cadaveri praticamente in ventiquattr’ore. Si lavora senza sosta, in condizioni che è inutile e riduttivo definire difficili, estreme. Sono le ultime ore in cui è forse pensabile di poter trovare qualche superstite: ogni minuto va rincorso, aggredito. «I nostri uomini si fermano il minimo indispensabile per poter mangiare o dormire un’ora, ma di fatto lavorano ventiquattr’ore al giorno per questi primi tre giorni», racconta da Treviso Sergio Zambon, in contatto continuo con i colleghi dislocati ad Arquata. Il terremoto è lì, in ogni cosa. Nelle macerie, nella paura, nello stillicidio di scosse di uno sciame sismico che potrebbe durare settimane, secondo i geologi.

«Abbiamo appena estratto due bambini. Uno era vivo. L’altro purtroppo non ce l’ha fatta». Sono partiti, subito. Stravolgendo i turni, raddoppiando le ore di lavoro per i notturnisti, raccogliendo il necessario senza pensarci due volte. I vigili del fuoco di Treviso si sono mossi mercoledì mattina e nel tardo pomeriggio erano già ad Arquata del Tronto, in provincia di Ascoli Piceno, nel cuore delle zone devastate dal terremoto. Ventidue uomini, cani delle unità cinofile e squadre Usar (Urban search and rescue) pronti per dare una mano. Come sempre.

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Lavoriamo in un inferno. A raccontare il lavoro dalla prima linea è Giuseppe Quinto, dirigente dei vigili del fuoco di Treviso. «La priorità ora è cercare le persone disperse - aveva detto dopo qualche ora di lavoro, mercoledì - Abbiamo già trovato due bambini, circa un’ora fa: uno lo abbiamo estratto vivo, l’altro purtroppo non ce l’ha fatta. Ora abbiamo individuato altre due persone disperse, ma è una situazione particolarmente rischiosa: sono sotto le macerie di un edificio su un dirupo, a strapiombo». Lo sciame sismico di certo non aiuta. «C’è stata da poco un’altra scossa. Lavorare in queste condizioni non è semplice, ma andremo avanti tutta la notte. Anzi, è il momento migliore perché utilizziamo delle termocamere che rilevano il calore corporeo sotto i detriti, e di notte con il raffreddamento delle macerie funzionano meglio, di giorno la temperatura dei calcinacci è simile a quella corporea e ciò complica le ricerche». Si sentono anche i cani, cornice sonora di uno scenario drammatico: il supporto delle unità cinofile è fondamentale. «Non abbiamo ancora un programma definito», dice Quinto, «intanto andiamo avanti a cercare. Non so quanti giorni rimarremo qua, credo almeno quattro o cinque».

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Dove serve aiuto, si va. Senza cadere nella retorica: è quasi un automatismo, un riflesso condizionato. Dove serve aiuto, si va. Come era stato per L’Aquila. Un viaggio complicato, lungo: molte strade nelle zone più colpite dal terremoto sono state inagibili per ore, e anche alcune infrastrutture (ponti, gallerie) hanno richiesto sopralluoghi e verifiche statiche prima di essere dichiarate agibili. Far convergere la macchina dei soccorsi non è stato facile, ma la carovana trevigiana è arrivata in serata ad Arquata. Un tir, un’autopompa, un modulo logistico con bagni e docce, un fuoristrada, un furgone: la squadra trevigiana è attrezzata per un intervento in loco che potrebbe proprio durare giorni. Non è uno sforzo da poco, considerando che l’attività ordinaria qui a Treviso non può essere abbandonata. A Roncade, per esempio, è in corso da domenica un complicato intervento di spegnimento di un silo contenente materiale legnoso: per portare avanti quel lavoro è stato necessario prolungare il turno di chi ha coperto la notte. Lo sforzo è di tutti, non solo dei ventidue uomini partiti ieri mattina dal comando provinciale di via Santa Barbara.

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