Fassina, quarant’anni nei motori: «Quel Sanremo ha cambiato la storia»

Il popolare Tony tra i rally dell’epoca e quelli di oggi: è ancora capace di vincere 

TREVISO. Vincere non è facile. Farlo per oltre quarant’anni ancora meno. Non ci riescono in molti in qualunque tipo di sport, ma uno di questi è Antonio Fassina, il “Tony” che fra anni Settanta e Ottanta ha dominato i rally italiani ed europei, l’uomo che riuscì a mettere in ginocchio la Fiat da rally ufficiale. Oggi, presidente del “Gruppo Fassina” (è in ufficio dalla primissima mattina ma non rinuncia a qualche corsa per tenersi in forma), ha 74 anni e la passione del ragazzino. È la passione che gli ha fatto vincere, lo scorso settembre, il Rally di San Martino storico. Lo ha fatto con una delle sue auto del destino, la Lancia Stratos. Con quel modello entrò nella storia del rallismo mondiale vincendo il Rally di Sanremo 1979, diventando il primo pilota non legato a Case ufficiali capace di imporsi fra l’asfalto ligure e lo sterrato toscano. Un’impresa: «Bah, non fu la vittoria più difficile», si schernisce lui.

Fassina, non è da tutti stracciare ogni avversario, incluso il futuro campione del mondo Rohrl che correva con la Fiat 131 ufficiale.

«A dire il vero ho capito che avrei potuto vincere già sulla seconda prova speciale. Nella prima, a Ceriana, ero finito secondo dietro Rohrl ma avevo avuto grossi problemi ai freni tanto che avevo pensato di ritirarmi. Quella dopo, a Vignai, era tutta in discesa. Sembrava impossibile contro le 131, così agili, ma vinsi io: ce la potevamo fare. Mi è dispiaciuto solo che Rohrl, dopo la gara, abbia dichiarato di aver trovato chiodi lungo le prove: non so se ci fossero».

Quella è stata una corsa durissima, fatta di 74 prove speciali. Quali sono stati i momenti più difficili?

«Feci guidare un meccanico, Piero Spriano, nel trasferimento dalle prove su asfalto a quelle su terra. Non si poteva, ma era necessario. Mi ricordo di essermi addormentato a Siena, in piazza del Campo, durante un riordino».

È stata una passeggiata?

«Certo che no. Nella terza tappa, sulla terra, per un errore dei cronometristi ci vennero attribuiti tre minuti in più e partimmo dietro a Rohrl. Partivamo tutti a un minuto di distacco e non fu semplice guidare in mezzo alla polvere alzata dalla 131 ufficiale».

Qualcuno vi chiese di far vincere la Fiat?

«Nessuno, ma del resto nessuno neanche ci favorì. Ricordo che prima delle ultime prove ci fu un acquazzone. In assistenza eravamo vicini alla Fiat (ma noi lavoravamo sull’auto prendendoci la pioggia) e sentiamo Daniele Audetto, loro ds, dire di montare le gomme slick. Pioveva, pensavamo che ci stessero facendo un tranello. Montiamo le intermedie, ma le prove erano asciutte».

Gara compromessa?

«Macché, avevamo sei minuti di vantaggio e abbiamo vinto con 4’14” su Rohrl».

Perché il suo navigatore, Mauro Mannini, a fine gara dichiarò ad Autosprint “sono contento per chi è contento e per chi non è contento”?

«Fiat le provò tutte per non farci vincere. Nell’ultima notte dovevamo partire a due minuti di distanza, ma non si sa come Rohrl partì a un solo minuto. In quel momento stavo gestendo il vantaggio e quando ho visto i fari della 131 dietro di me ho preso paura, pensando di andare troppo piano. Poi abbiamo capito».

A Sanremo non si propose il duello con l’altro rallista di Marca, Adartico Vudafieri.

«Vuda era un martello. Magari non era il più veloce, ma ti stava sempre vicino e non sbagliava mai. La nostra è stata una rivalità forte, fatta anche di chiodi trovati lungo le prove. Nel 1981 ci stavamo giocando l’Italiano. Lui correva con la Fiat 131 del Jolly Club, io con la Opel Ascona 400. All’ultima gara, il 100.000 Trabucchi, lui si è presentato con la Ferrari 308. Ecco, quella volta bucò lui… Però è stato bello essere suo avversario, come aver corso contro un Miki Biasion alle prime armi».

Oltre al Sanremo 1979, quali sono i ricordi che la legano alla gara ligure?

«Mi ricordo la corsa del 1976, quella del duello fra Sandro Munari e Bjorn Waldegard. Entrambi sulla Lancia Stratos ufficiale, ricordo di averli visti alla partenza dell’ultima prova, quando Waldegard partì quattro secondi dopo il verde per avere lo stesso tempo del “Drago”. E poi mi ricordo la gara del 1981, quando Henri Toivonen sulla Talbot Lotus ci suonò pesante insieme a Michelle Mouton con l’Audi Quattro. Henri era bello e sorridente, in gara rischiava tanto con qualunque mezzo».

Qual è la più grande soddisfazione della carriera?

«Senza dubbio vincere il Rally di Sanremo 1979. Ma umanamente la cosa più bella che mi porto dentro è stata l’esperienza in Opel. Eravamo una squadra piccola ma sincera. Più che da pilota, è stata una grande esperienza di vita con il mio navigatore “Rudy” e tutta la squadra. E poi vincemmo l’Italiano 1981 davanti a “Vuda” e l’Europeo 1982 davanti a Jimmy McRae, papà di Colin. Al Rally di Cipro sbagliarono tutti i controlli orari».

Sono passati decenni, ma lei corre ancora. Come sono i rally di oggi?

«Oggi ci sono macchine meravigliose: mi piacerebbe provarle… Però le gare sono cortissime, neanche da paragonarle a quelle nostre da oltre 1000 chilometri di prove speciali. I tempi sono cambiati e ogni epoca ha la sua storia. Oggi c’è più sicurezza, anche se c’è meno pubblico. Ho vinto il Rally di San Martino storico, ma chi ha vinto il rally moderno mi dava 5 secondi al chilometro. Un’eternità. Le Wrc, anche quelle vecchie, sono macchine meravigliose».

A proposito di pubblico, ricorda qualche striscione particolare?

«Come no. A un Rally Piancavallo ricordo di averne letto uno che diceva “Dio perdona, Tony no”». —


 

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