Escher e Sgarbi, è subito folla

«Se le mostre sono fatte bene, il pubblico viene anche se non ci sono cappuccini, the e biscotti secondo il metodo Goldin». Vittorio Sgarbi, signore e signori. Atteso in devoto silenzio da una piccola folla (cento posti a sedere bruciati in pochi minuti, altrettante persone rimaste fuori), il critico d’arte più famoso d’Italia è arrivato ieri alle 13 a Santa Caterina per tenere a battesimo la mostra di Escher, fresca d’apertura. Insolitamente gentile, a tratti persino melenso, quasi ruffiano («l’eccellenza di Treviso è in chi ci abita e va a vedere le cose belle, come queste mostre»), Sgarbi ha centellinato le stoccate che fanno il suo curriculum non meno del suo genio critico, indiscutibile. Qualche bordata a Goldin, un paio ai leghisti, una spruzzatina di insulti alla “casta”: per il resto, solo parole belle per questo rinascimento culturale trevigiano. «Anche se, a dire il vero, portare qui Escher è stata un’idea mia», dice Sgarbi con la solita modestia. Intanto, in questo straordinario weekend artistico trevigiano, ieri tremila persone hanno visitato il “nuovo” museo Bailo.
Goldin. Sgarbi ha raccontato che «a Treviso c’era amarezza dopo l’addio di Marco Goldin», l’organizzatore che fece il botto con gli impressionisti a Ca’ dei Carraresi, «sono stato io a proporre Escher: all’inizio il sindaco era titubante, poi si è convinto». Altra mostra sotto i riflettori è quella di El Greco a Ca’ dei Carraresi, organizzata da Andrea Brunello «che era un poppante, sono stato io a formarlo», spiega Sgarbi, istrionico, «quindi anche El Greco è merito mio, qua a Treviso. Brunello odia Goldin, lo vuole uccidere per riconquistare la sua città, ma sotto sotto gli vuole bene. Manildo celebrerà il primo matrimonio gay in Italia: quello tra Goldin e Brunello». Brunello che viene dipinto come «un po’ stordito, adesso, quasi preso da un delirio poetico: per ogni quadro fa un libro di commento, cose troppo difficili per me, neanche Kant».
La Lega. Qualche frustatina è arrivata alla «Lega che amministrava qui e non mi ha mai chiamato, mi ricordo che c’erano quello un po’ rotondo e il vice che è la copia del Duce». Stoccate (a Bossi, poi) e rivendicazioni di meriti anche in questo caso: «Il termine Padania l’ho inventato io», dice Sgarbi. Il critico cita poi anche «De Polo», stropicciando il nome del presidente di Fondazione Cassamarca, «e il suo ponte pieno di falli», quello dell’università.
Escher. Ma il meglio Sgarbi lo dà quando fa il suo mestiere: il critico d’arte. «La mostra su Escher non investe l’arte ma il pensiero, la filosofia, i paradossi», è il volo sulla mostra, visitabile fino al prossimo 3 aprile, «è un autore che attrae perché non ha tempo e non ha limite». Molta parte dell’opera dell’olandese nasce dall’ispirazione che ha tratto durante le sue visite in Italia. «Escher era italiano perché ci viveva, qui ha sublimato il piacere della bellezza con la curiosità della scienza. C’è un po’ di Escher dentro tutti noi». Le sue opere sono giochi di prospettive, costruzioni ottiche: «Era un visionario sognatore», dice Sgarbi, «il suo equivalente letterario era Borges. Magritte è un rebus, Escher svela: la parola che definisce la sua immagine è “labirinto”. Noi non sappiamo se ne usciamo, la nostra anima sì: innalzata, verso il cielo».
©RIPRODUZIONE RISERVATA
Riproduzione riservata © Tribuna di Treviso