Ecomafie in provincia di Treviso: rifiuti in fiamme, la terra dei fuochi è qui

TREVISO. La terra dei fuochi è qui. Gli incendi agli impianti di smaltimento dei rifiuti sono quasi raddoppiati in meno di tre anni, passando dai 35 del 2014 ai 66 contati fino ad agosto 2017 (l’annus horribilis si chiuderà intorno ai cento), e si concentrano per quasi la metà nelle regioni del Nord, con il Veneto a fare da maglia nera in questa speciale classifica. È quanto emerge dalla relazione della Commissione ecomafie sugli incendi, presentata ieri alla Camera dai senatori Laura Puppato e Paolo Arrigoni e dai deputati Chiara Braga e Stefano Vignaroli.
C’è puzza di bruciato, in ogni senso. Quello letterale, mortifere nuvole nere che ammorbano l’aria, e poi la puzza di marcio fatta di malaffare, denari, criminalità. Anche organizzata. E anche qui. Nelle cronache degli eventi c’è spesso il marchio di fabbrica del racket: roghi notturni ai siti di stoccaggio, fiamme dolose a camion carichi di rifiuti speciali. Ma chi conosce il settore sa un’altra cosa: che il fuoco cancella. Elimina i rifiuti che lì magari non dovrebbero stare. Purga le mancate tracciabilità. Azzera i rischi prima di un’ispezione.
I casi. Sono 250 gli incendi in impianti di trattamento rifiuti in Italia negli ultimi quattro anni. Quasi la metà (124, pari al 47,5%) sono avvenuti al nord. Quattro pagine della relazione della Commissione ecomafie sugli incendi sono dedicate ai casi che si sono verificati nel triangolo Treviso-Padova-Vicenza. C’è la Bigaran di San Biagio di Callalta, dove la notte del 26 febbraio 2014 le fiamme hanno divorato cinque autocarri e un rimorchio carichi di rifiuti speciali.
C’è la Eco El di Cornedo Vicentino, marzo 2013, e poi un altro rogo nello stesso comune, nemmeno “censito” dalla relazione perché troppo recente: un mese fa, 9 dicembre 2017, danni per trecentomila euro nel falò che distrugge alcuni camion della ditta Bf che si occupa di smaltimento e trattamento di rifiuti industriali e speciali. E poi il Padovano: dal rogo al deposito della Intercommercio di Piove di Sacco a quello doloso nel capannone della Nek Srl di Monselice (clicca qui per vedere il video).
E via altri ancora, con un approfondimento ad hoc dedicato a un caso particolarmente grave, quello della trevigiana Vidori.
Il caso Vidori. Un rogo devastante, il 18 agosto scorso. Altri focolai precedenti denunciati dai residenti della zona. Cronache giudiziarie che hanno coinvolto i vecchi titolari, con tanto di arresti domiciliari e indagini per «attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti». «Criticità e difformità» nella gestione e nella tracciabilità dei rifiuti stessi nello stabilimento di Vidor. «Natura dolosa» possibile e oggetto di una consulenza tecnica. Nella relazione della commissione un ampio passaggio è dedicato proprio all’incendio di quest’estate alla Vidori di Vidor. «Permangono domande che attendono una risposta - si legge - come ad esempio i due incendi precedenti visti dai cittadini e dal sindaco ma risolti in seno all’azienda, i rifiuti accatastati in quantità anomala rispetto agli anni precedenti trattandosi di periodo di ferie, e l’impianto di spegnimento incendi privo d’acqua».
Un’ispezione dell’Arpa datata febbraio 2016 ha rilevato che «la gestione tecnico operativa dell’impianto non garantisce un efficace controllo sulle operazioni condotte e sulle caratteristiche dei rifiuti. In particolare, la tracciabilità dei rifiuti prodotti dal trattamento risulta ricostruibile a livello documentale, ma non è correlabile alla realtà dell’impianto (piazzole, fosse, età), se non attraverso le informazioni fomite dal personale presente all’atto del sopralluogo. Le verifiche su una partita di rifiuti destinati a discarica hanno attestato che non sono compatibili con la ricostruzione documentale. La partita oggetto di verifica analitica non è risultata inoltre conforme ai limiti di ammissibilità del sito presso il quale è stata conferita».
Indagini difficili. Opacità, irregolarità, fiamme, sospetti. Circa la metà degli incendi analizzati dalla commissione ha dato luogo a procedimenti penali a carico di ignoti, che tali - nella quasi totalità - sono rimasti sino all’archiviazione. Archiviazione già arrivata nel 47,9% dei casi, mentre il 39,1% sono ancora pendenti.
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