È morto il maestro Gatto Lo “scoprì” Guareschi

CASTELFRANCO. A febbraio di tre anni fa era salito per l’ultima volta nel suo atelier allestito in una dependance a fianco della sua abitazione a Sant’Andrea oltre il Muson. Sceso per pranzo chiamato dalla moglie, non vi era più salito lasciando sul cavalletto il suo ultimo paesaggio appena abbozzato e i pennelli intinti nell’acquaragia. Angelo Gatto, spentosi ieri all’età di 95 anni, aveva deciso che era arrivato il momento di chiudere la sua lunga carriera artistica. Senza rimpianti, con la lucidità che lo ha caratterizzato fino agli ultimi giorni di vita. «Uno dei prossimi momenti me ne vado», aveva confidato lunedì scorso al figlio Alessandro, illustratore di fama internazionale. E così è stato. Se n’è andato uno dei più grandi maestri del mosaico contemporanei. Le sue opere sono in tutto il mondo. La più distante in Giappone. Nato nel 1922 in una famiglia di contadini di Santa Cristina di Quinto, era il secondogenito di Vincenzo e Luigia. Dal padre aveva ereditato la passione per l’arte. Vincenzo, nel tempo libero dal lavoro nei campi, suonava l’organo in chiesa e dipingeva. Per il figlio aveva intravisto un futuro nell’arte, affidandolo giovanissimo al pittore Guglielmo Ciardi. Angelo, 10 anni appena, portava cavalletti e colori al maestro e, intanto, “rubava” la tecnica. Un talento innato. Purtroppo nello stesso anno, Angelo perse papà e maestro. Di questo ragazzino, si presero a cuore il parroco e la sorella che per lui sognavano la musica. Ma nei silenzi che accompagnavano le ore di studio dell’organo, si accorsero che alla tastiera Angelo preferiva i gessetti con cui tracciava splendidi disegni sulla lavagna. «Ha una bella mano», si arresero avviandolo alla scuola del decoratore Carlo Vendramin di Quinto. Angelo si diplomò maestro d’arte e poi iniziò l’Accademia. Qui lo sorprese la guerra. L’8 settembre del 1943, allievo ufficiale assistente di volo a Padova, fu fatto prigioniero e deportato. Due anni terribili, tanti campi di concentramento tra cui quello in cui morì Anna Frank. A salvarlo l’arte. Nel primo campo in cui fu deportato incontrò Giovannino Guareschi che, visto il suo talento, gli disse: «Scrivi e dipingi tutto». Così fece fino a quando si ritrovò davanti alla corte marziale accusato di insubordinazione per aver reagito a un episodio di violenza. Lo condannarono a morte e, scoperti i suoi disegni e i suoi scritti, li bruciarono. «E fu il dolore più grande per papà», ricorda il figlio Alessandro. Ma un ufficiale medico che lo aveva esaminato durante un corso per infermieri, si ricordò della sua ottima conoscenza dell’anatomia, dovuta agli studi in accademia, e lo salvò. La condanna a morte si trasformò nel durissimo lavoro in miniera, temperato da un’anima pia che gli procurava cibo e garantiva qualche turno di riposo. Venne la Liberazione e Angelo visse per cinque mesi con gli americani, a cui faceva ritratti. Lo volevano portare a Philadelphia, ma lui tornò a casa, completò gli studi in accademia e iniziò l’attività. Prima commissione: il restauro degli affreschi di villa Chiminelli a Sant’Andrea oltre il Muson. Qui conobbe Angela Favaro, la figlia della custode, se ne innamorò e la sposò nel 1952. Dal loro matrimonio nacquero Vincenzo, Giambattista morto di leucemia a 14 anni, Alessandro, Gloria e Chiara. Angelo lavorava in tutto il mondo realizzando mosaici, decorazioni e vetrate di tantissime chiese. Arte sacra per “vivere” e pitture di ogni genere per passione. La prima opera importante fu il regalo di nozze che gli fecero il parroco e la comunità di San Martino di Lupari chiamandolo a decorare la volta e l’abside della chiesa. Da qui fu un crescendo: tantissime commissioni ottenute con il passaparola. Il suo atelier era una scuola di arte, come le botteghe medievali. Tra i suoi amici Arturo Martini e Gino Rossi. Una quarantina di anni fa fondò la scuola di pittura di Casa Barbarella, sfrattata e ora riaccolta da Castelfranco. Innumerevoli le mostre e i premi. Carattere forte, «non facile ma buono e generoso», era cittadino onorario di Riese e Resana. Sabato alle 10 i funerali nella chiesa di Sant’Andrea, dove decorò l’abside aiutato dal figlio Alessandro.
Alessia De Marchi
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