Diavoli neri e maranteghe in mostra

Alle Case Piavone maschere dei Carnevali arcaici del Veneto e Dolomiti
Doro Treviso presentazione mostra maschera carnevale case Piavone agenzia fotografica foto film
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Il Diavolo nero bifronte di Faedo vicentino. La Maràntega o Donàza, ossia la Befana. I Bombasin di Rovigo. Arlecchini e Matazin, demoni e giullari. La vita che continua dopo la morte: viaggio escatologico attraverso le più antiche tradizioni popolari. Apre, oggi, alle Case Piavone, la mostra etnografica «Maschere e Riti dei Carnevali Arcaici del Veneto e Dolomiti», curata dallo storico bellunese Gianluigi Secco, anima dell'associazione Soraimar (cioè «Sopra i mari»).

L'esposizione resta allestita per ben due anni (fino ad agosto 2013) e comprende tre sezioni: volti e maschere del Carnevale, maschere arcaiche delle Dolomiti e una terza parte trevigiana, allestita dal Gruppo Folcloristico e dall'etnolinguista Emanuele Bellò. La mostra è intinerante: nacque nel 1987, da un'idea di Secco e fu allestita, per la prima volta, al Meeting dell'Amicizia di Rimini dell'anno successivo: «Fu quasi una provocazione, la maschera come espressione di religiosità», spiega il curatore. Dopodiché, è stata portata in giro per l'Italia e l'Europa. Normalmente soggetti e volti sono custoditi in un tabià: da oggi debuttano a Treviso. Si possono ammirare 40 soggetti e tantissime maschere provenienti da Paesi europei o americani di radici latine: se ne trovano pure messicane o rumene della Transilvania. Non mancano i supporti audiovisivi: curioso un video che descrive i riti carnevaleschi del Paraguay. La maggior parte delle figure sono di tipo antropomorfo, suddivise nei gruppi dei «belli« e «brutti«. Ecco le larve carnevalesche, ovvero l'al di là interpretato dalle maschere. Tutto concepito nel senso della vita che prosegue. Ci sono suonatori e arlecchini, cioè «morti che tornano». Stando al significato etimologico. Ecco la riscoperta della ritualità arcaica dell'Agordino, Alpago o Val Belluna. Ci sono Matazin e Matoc, i Mata dolomitici. C'è pure il mondo fitomorfo: «uomini albero». Si possono conoscere le mascherate di Zoppè di Cadore: una tradizione che non c'è più e rimane solo nelle testimonianze pittoriche. E si possono riapprezzare gli antichi mestieri: scarper o caregher, riassaporando «bigarani» e «ossi da morto»: dolci simbolo di vitalità. Orario di visita: dal giovedì alla domenica, ore 9.30-12.30, 15-18.30.

Mattia Toffoletto

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