Dalla Lega uno stop a Banca della Marca

Toni Da Re: «Sbagliato andare con il gruppo romano Iccrea, meglio scegliere Trento come ha fatto la Prealpi di Tarzo»
Di Francesco Dal Mas
Ferrazza Orsago sede Banca Della Marca
Ferrazza Orsago sede Banca Della Marca

VITTORIO VENETO. Banca della Marca di Orsago e Banca delle Prealpi di Tarzo formano assieme, e di gran lunga, la più grossa realtà di credito cooperativo del Nord-Est. Con oltre 5 miliardi di attivo patrimoniale, con quasi 100 filiali distribuite in 5 province, con 600 dipendenti e con più di 160 mila clienti. E' a partire da questi presupposti che Toni Da Re, già sindaco di Vittorio Veneto e oggi segretario nazionale della Liga Veneta, scende in campo per sottoporre alla valutazione dei soci dei due istituti, in vista delle prossime assemblee (domenica 23 aprile è di turno la Banca della Marca), l'opportunità di considerare, in prospettiva, la fusione delle due banche e, quindi, di orientarsi verso un'unica aggregazione. L'Istituto di Tarzo ha scelto, ormai da tempo, di schierarsi con Cassa Centrale Banca di Trento. Orsago, che in un primo tempo si era orientato in questa direzione, ha poi deciso di scegliere l'Iccrea di Roma, guarda caso con la motivazione di non farsi concorrenza diretta.

«Dopo la crisi che il sistema del credito nel territorio sta attraversando a causa di Veneto Banca e Bpvi, non possiamo permetterci altre scomposizioni - afferma Da Re -. Ho avuto modo di riscontrare, in queste settimane, le perplessità, anzi il disagio di tanti operatori economici e di pubblici amministratori, dei più diversi orientamenti politici, per il fatto che i due vertici del credito cooperativo in provincia non riescano a trovare le ragioni dello stare insieme». Di più. Da Re dice di non darsi ragione del fatto che una banca del territorio, così radicata nel profondo Veneto e la cui storia è stata determinante nello sviluppo della Marca, abbia scelto di portare le proprie risorse a Roma, anziché trattenerle nel Nord. Questa sarebbe, appunto, la Banca della Marca.

Di più ancora. Da Re è dell'idea che l'unione, in questo caso, faccia davvero la forza. E, quindi, «se i due istituti coesistessero all'interno di una stessa holding è evidente che per gli stessi sarebbe facile cercare le ragioni di una fusione, per essere ancora più forti».

A meno che, secondo Da Re, a prevalere non sia la prospettiva delle "careghete". «Ci pensino bene, i soci amici di Orsago che domenica si riuniranno in assemblea. Il gruppo romano presenta attivi a rischio (Rwa) 13/14 volte superiori rispetto a quelli presenti nel gruppo trentino, avendo finora erogato crediti per oltre 13 miliardi, in parte a favore delle stesse BCC. Il Cet1 Ratio di Iccrea (vale a dire l'indice che più di ogni altro misura la solidità patrimoniale di un Istituto di credito) si attesa sui 12,3%, contro, invece, il 23,5% del gruppo Trentino. Dopo l'aumento di capitale sociale di CCB, le differenze tra le due candidate capogruppo in termini di solidità aumenteranno ulteriormente in modo significativo: il gruppo trentino diventerà uno dei gruppi bancari più solidi d'Italia con un Total Capital Ratio di primissimo livello». E sotto il profilo reddituale, ricorda Da Re, l'organico del gruppo trentino parte con una struttura nettamente inferiore (911 dipendenti contro circa 2600 in capo al gruppo romano), molto meno rigida rispetto a quella sovradimensionata di Iccrea, con un costo medio del personale di gran lunga inferiore (di circa il 20 per cento) rispetto a quello in forza al gruppo romano.

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