Patto contro il caporalato. Agricoltori, associazioni di categoria e sindacati: «Ecco come lo fermeremo»

Il forum alla Tribuna di Treviso su agricoltura e lavoro nero. Flai Cgil e associazioni agricole chiedono verifiche sulle 500 ditte che forniscono manodopera nei campi trevigiani. Si valuta un “Libro bianco” delle aziende regolari

Un momento del forum
Un momento del forum

C’è un terreno comune su cui sindacato e associazioni di categoria sono d’accordo: bisogna controllare le oltre 500 aziende che, in provincia di Treviso, si occupano di fornire servizi all’agricoltura, soprattutto manodopera, che talvolta si rivela irregolare e sottopagata.

E allora come fare per contrastare il caporalato e l’illegalità? Creando una sorta di “Libro bianco” delle ditte appaltatrici regolari, così da escludere le mele marce - espressione degli addetti ai lavori - che intaccano tutto il sistema. Qui si dividono le strade e si differenziano le vedute: la Flai Cgil chiede un maggiore coinvolgimento delle associazioni datoriali che non si tirano indietro, ma ribadiscono all’unisono che dei controlli sulla legalità devono occuparsi le istituzioni pubbliche, non gli imprenditori.

Il confronto

Nel pomeriggio del 21 ottobre la redazione della Tribuna ha accolto Giangiacomo Gallarati Scotti Bonaldi, presidente di Confagricoltura Treviso e Confagricoltura Veneto, Salvatore Feletti, presidente Cia, Giuseppe Satalino, direttore di Coldiretti Treviso e Giosuè Mattei, segretario della Flai Cgil Veneto.

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L’obiettivo del confronto è stato quello di analizzare il fattore lavoro nel comparto dell’agricoltura, che conta 8 miliardi di euro di valore della produzione primaria in Veneto e oltre 1, 5 miliardi di euro nella sola Marca, ma se si allargasse il filtro anche ai prodotti trasformati (cioè quelli ottenuti processando quelli primari), il valore sarebbe nettamente più alto. Al centro del dibattito l’occupazione nei campi trevigiani, da quella stagionale (tantissimi) a quella dei contratti a tempo indeterminato (pochissimi).

I lavoratori del comparto

Secondo i dati Inps, i lavoratori stagionali operativi in provincia nel 2024 sono stati 11.325, di questi il 69% sono lavoratori vulnerabili, un numero in netto aumento rispetto al 2023 quando gli impiegati erano stati 9.736. La maggior parte di chi lavora a tempo determinato è straniero, 4.329 provengono da Paesi fuori Europa, per lo più India e Marocco, mentre i lavoratori europei, da Romania e Polonia, sono la minoranza, 695.

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Solo uno su 3 è under 30. «Poi c’è tutta una fetta di operai agricoli in senso stretto, quelli a tempo indeterminato che fanno parte dell’azienda tutto l’anno e hanno specializzazioni più elevate, sono circa tre o quattromila», spiega Scotti Bonaldi, «l’agricoltura è scandita dalle stagioni, anche la domanda di manodopera segue questo ritmo».

Il numero di addetti cambia a seconda del luogo in cui si trova l’impresa agricola, circa 14 mila quelle censite nel territorio trevigiano: «Un’azienda collocata in un territorio di collina ha sicuramente più bisogno di quantità di ore di lavoro e quindi di personale, nelle aziende di pianura, dove è anche agevolata la meccanizzazione, sicuramente servono meno persone, però magari servono altri tipi di professionalità», aggiunge Feletti della Cia.

La filiera del lavoro

Uno dei temi più caldi nel dibattito è stato quello relativo al reclutamento di manodopera. Secondo le ultime indagini, nella Marca ci sono oltre 500 aziende fornitrici di servizi in ambito agricolo, soprattutto di braccianti da impiegare per breve periodo nei campi, le figure di cui gli imprenditori sono costantemente alla ricerca, laddove gli effetti del decreto Flussi devono ancora farsi percepire.

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«Quando un imprenditore fa richiesta di un lavoratore tramite i canali istituzionali può arrivare a buon fine anche dopo un anno e in un settore in cui la manodopera è necessaria nell’immediato è un sistema che non può funzionare, c’è troppa burocratizzazione. Fino a qualche anno fa esistevano i voucher in agricoltura, che erano uno strumento oggettivamente utile», aggiunge Satalino. Quindi cosa fanno gli imprenditori? Si affidano a società terze, che non sempre forniscono lavoratori regolari, sia dal punto di vista dei permessi per lavorare nel suolo italiano, sia a livello di obblighi normativi a livello professionale.

Da qui la polemica: «Non deve essere l’imprenditore a doversi carico della legalità o meno delle aziende di servizi, essendo già oberato di obblighi burocratici da ottemperare», delinea Scotti Bonaldi, «queste 500 aziende della provincia di Treviso è importante che ci siano, ma è importante che vengano verificate, ma dovrebbe essere un compito delegato alle istituzioni pubbliche».

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Attualmente la Rete del lavoro agricolo di qualità di Treviso, di cui fanno parte, oltre alle associazioni, anche l’Inps e la Prefettura, ha predisposto un questionario che le imprese devono compilare su base volontaria sullo stato delle loro fornitrici.

Il libro bianco

«È l’organo ispettivo che deve istituire un Libro bianco e decidere se le appaltatrici hanno le caratteristiche per entrare all’interno di quella lista, per esercitare questo tipo di lavoro in agricoltura, a garanzia delle imprese agricole. Il sistema è ancora bloccato, perché la norma che disciplina questo protocollo prevede che le aziende appaltatrici firmino una fideiussione, cosa che non è stata ancora recepita. Oggi il questionario rimane su base volontaria e gli imprenditori non hanno i tempi e i modi necessari per occuparsene», chiosa Satalino.

Palla al centro

Il sindacalista Mattei però non lascia passare la cosa: «Sfatiamo il fatto che la burocrazia che veniva citata prima assorbe l’agricoltore perché ci sono le associazioni di categoria che fanno egregiamente il loro il loro compito per conto degli agricoltori che rappresentano. Bisogna affrontare il problema con un approccio multi stakeholder, nel senso che le parti sociali di sindacato, le parti d’accordo devono fare la loro, poi c’è anche la politica, ci sono anche le istituzioni, c’è anche il terzo settore, perché il problema dello sfruttamento lavorativo del caporalato è molto più complesso di quello che possiamo immaginare. Si devono rivedere le politiche di immigrazioni affinché non venga alimentano il mercato transnazionale delle braccia», conclude Giosuè Mattei.

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