Arrotondamento dei cent in negozio, a Treviso è un affare per chi vende

TREVISO. La spiegazione ufficiale: la zecca dai primi di gennaio 2018 ha smesso di stampare i “ramini” da 1 e 2 centesimi, guadagnandoci 20 milioni di euro. La certezza: vi si sono adeguati in pochi, con grave scorno del deputato Sergio Boccadutri che, ispirato chissà da chi, si era battuto perché il taglio dei cent - con conseguente arrotondamento resti - fosse legge.
Il dubbio - fondatissimo - è che dagli scontrini emerga un qualche guadagno, visto che la voce “arrotondamento”, che vi compare, non si sa a chi faccia gioco. Di fatto la legge consente di arrotondare (ai 50 centesimi e all’euro) gli spiccioli. Per eccesso quando le cifre dopo lo 0, sono 8 e 9 (1.99 diventa 2, e 2.49 diventa 2,50), per difetto se sono 6 o 7 (1.97 diventa 1,95, mentre 1,06 diventa 1.00).
A Treviso solo pochi negozi e un supermercato hanno recepito la legge 96 del 2017. Negozi locali di catene nazionali. Arrotondano la catena Tigotà e il negozio di NaturaSì, ma anche, per ordini superiori, Pam Panorama. I clienti? Di fatto, questi arrotondamenti in genere sono verso l’alto. Basta fare un salto tra i ripiani di Tigotà per vedere che i prezzi sono tutti del tipo 5.99, 3.98, 2.49, oltre che, naturalmente, a cifra tonda sull’euro o sui 5 decimi. Dunque l’arrotondamento va verso l’alto e se il cliente, per un centesimo (ma non in tutta Europa va così: ci sono Paesi in cui il “ramino” è ancora tenuto in considerazione e altro dove è addirittura oggetto di collezione...) non si produce in proteste, qualcuno obietta dubbi sotto il profilo fiscale.
«La materia da questo punto di vista è spinosa - spiegano gli esperti interpellati - In teoria gli arrotondamenti dovrebbero bilanciarsi, ma siccome i prezzi esposti per invogliare il cliente tagliano in genere uno o due cent dalla cifra tonda (nel nostro giro random abbiamo visto che da NaturaSì la merce ha sempre costi al centesimo già arrotondati in partenza ai 5 centesimi o ai multipli di 10), finisce che il “battuto” consente un ulteriore guadagno a chi vende. E la scritta “arrotondamento” sullo scontrino appare come una foglia di fico.
Di fatto il cassiere si trattiene uno o due centesimi in più, che, in chiave nazionale, e moltiplicato per gli scontrini battuti e per i negozi della catena, fanno cifre grasse, altro che centesimi. Sul nostro scontrino per l'acquisto di uno spazzolino da denti, il totale imponibile è di 2.99 euro (0.54 di Iva) risulta che abbiamo dato 3 euro su un “importo pagato” di 2.99 e che abbiamo ricevuto 1 centesimo di resto, liquidato nella oscura voce “arrotondamento”.
La legge è in vigore ma collude con le norme per cui gli arrotondamenti vanno fatti su base volontaria. Se si espone un prezzo sugli scaffali e poi alla cassa se ne applica un altro, si viola il codice del consumo. La legge è in vigore ma non si può creare una discriminazione tra chi paga “arrotondato” in contanti e chi invece paga “giusto” con le carte di credito. È in vigore, ma non sono previste sanzioni per chi non vi si adegua e infatti molti non lo fanno, anche se le multe esistono - eccome - per le implicazioni contabili e fiscali. Sulle quali poco si veglia. Quanto rende il cent per una grande catena, vendendo (metti in 300 negozi) 20 spazzolini al giorno per 10 anni? Fanno 204 mila euro, ovvero 400 milioni delle vecchie lire. Alla faccia.
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