Allarme alla Stiga di Castelfranco: «Costretti a non confermare 160 dipendenti»

Bottacin: la stagionalità è altissima e non c’è alternativa. A rischio investimenti e permanenza in Italia dell’azienda di Castelfranco
DeMarchi Castelfranco zona industriale inaugurazione nuovo stabilimento Stiga
DeMarchi Castelfranco zona industriale inaugurazione nuovo stabilimento Stiga

CASTELFRANCO. Per adesso è un decreto, in attesa di conversione in legge. Ma sta producendo già i suoi effetti, che rischiano di seppellire anzitempo progetti e investimenti, mentre la Marca trevigiana diviene il cuore della protesta.

Dopo le critiche degli industriali veneti e le perplessità delle altre categorie economiche adesso è la Stiga spa di Castelfranco ad affondare il colpo: «A causa di queste norme dovremo assumere 160 dipendenti a tempo determinato completamente nuovi, lasciando a casa chi storicamente lavora con noi in base alla stagionalità» fa sapere Massimo Bottacin, direttore risorse umane del gruppo industriale leader in Europa nella produzione di tagliaerba e robot da giardino. Insomma, un inutile aggravio di costi di formazione in più per l’azienda, costretta a ingaggiare ogni anno persone diverse anziché servirsi delle maestranze che storicamente arrivano in azienda per coprire i picchi produttivi stagionali.

Il colosso, che fa riferimento a capitali svedesi, conta a livello globale 1. 750 dipendenti (di cui 800 in Italia), realizza ricavi per 500 milioni di euro e ha sedi e stabilimenti in mezza Europa. Il nodo è sempre quello: la riduzione delle proroghe possibili per i contratti a termine (da 36 a 24 mesi) e il rischio di aumento dei contenziosi se i contratti non sono rinnovati con precise causali legate a “esigenze programmate, temporanee e significative” che l’azienda deve dimostrare.

Alla Stiga, la cui produzione è legata alle stagioni, la situazione è questa. Per sua natura, l’azienda risente più di altre delle ciclicità produttiva: l’attività si concentra per l’80% nei cinque mesi a cavallo tra inverno e primavera. A giugno è stato inaugurato il nuovo stabilimento e i dipendenti a tempo indeterminato sono passati da 140 a 180 massimizzando la quota dei dipendenti a contratto fisso, ma ora il “Decreto dignità” sta mettendo in discussione tutti quei lavoratori a termine, circa 160 nel periodo di maggior picco produttivo, che venivano impiegati ogni anno e che al 90% rispondevano positivamente alla chiamata con un tempo di permanenza medio di 6 mesi. «Il “Decreto dignità” impedisce al nostro modello organizzativo di funzionare.

Salta completamente il sistema: prima l’azienda e il lavoratore a termine avevano tutto l’interesse a sposarsi per il maggior tempo possibile ora questa non sarà più una strada percorribile» aggiunge Bottacin. A ottobre cambierà completamente lo scenario e a farne le spese più di tutti saranno le lavoratrici insieme ai lavoratori extracomunitari, le prime coinvolte nell’assemblaggio, i secondi operativi alla catena di montaggio.

«Da ora in poi ogni anno si dovrà ripartire da zero– aggiunge Bottacin– dovremo reperire lavoratori sempre nuovi accollandoci l’onere della formazione e incrementano l’inefficienza. Questo modello sarà insostenibile e, nel medio termine, rischia di far venir meno la competitività dello stabilimento italiano mettendo a repentaglio anche i tempi indeterminati con un’eventuale chiusura della sede».

Mentre l’azienda sta cercando soluzioni alternative e invocando la flessibilità che era stata raggiunta grazie al sindacato, la preoccupazione dei lavoratori della Stiga traspare dalle loro parole. «Ho due figli e in casa sono l’unico a lavorare, dall’azienda mi hanno già detto che non sanno se mi chiameranno ancora a settembre, sto portando in giro curriculum, ma non è facile e non so dove sbattere la testa» spiega Cristian Bottega, 33 anni operaio di Riese che da quattro stagioni lavora per la Stiga con un contratto a tempo determinato.

«So che la nuova legge punta ad aumentare i contratti a tempo indeterminato e anch’io sarei contento di poterne avere uno, ma bisogna tenere conto della tipologia di azienda. La Stiga funziona così e io sono soddisfatto di poter lavorare in media una decina di mesi all’anno e sono contento dello stipendio che percepisco» aggiunge Cristian. Dover rimettere in discussione le proprie certezze non fa dormire sonni tranquilli. «All’interno della Stiga lavoro sulle linee di montaggio. Mi piace questo lavoro, tante volte faccio il jolly perché sono rapido a imparare– conclude Cristian– questo impiego è un po’ pesante ma i soldi nessuno te li regala, te li guadagni come ovunque. Spero con tutto il cuore che la questione si risolva tenendo presente il bene e il futuro di noi lavoratori».

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