Addio “Nani” Pinarello Era il re delle biciclette

Ciclista dei tempi eroici e imprenditore di livello mondiale: aveva 92 anni I duelli per la maglia nera al Giro, poi l’officina e l’avvio di una leggenda

«Nani» se n’è andato, uno degli ultimi grandi di Treviso. Con la sua discrezione assoluta, pochi giorni dopo il ct Alfredo Martini, quasi coetaneo. Uomini antichi, di fatica e saggezza. Modelli e riferimenti, uomini di risultati e sostanza.

E pochi come «Nani», ciclista e imprenditore, hanno incarnato la religione del lavoro, inconfondibile radice del Nordest. Quando la famiglia era in vacanza a Jesolo, tornava in bici, dopo 2 o 3 giorni. «No so cossa far, eà», confessava. Rivendicava, con modestia, il titolo di cène (ragazzo). Prima alla Paglianti, l’azienda di Dosson dove aveva cominciato prima della guerra, al magazzino di Santi Quaranta. L’incontro - fatale - con il ferro dei telai, avvenne lì. E poi anche nell’officina di Catena, avviata con il fratello Carlo. La storia dice che la aprì con i soldi avuti in premio per non correre il Giro, e lasciare il posto a Fornara: 100 mila lire. Lavorava e correva, Giovanni. Ma quel giorno creò un avvenire, e un mito.

La gavetta, i tempi durissimi della guerra, ne avevano fatto un uomo oculato, attentissimo ai conti, peraltro stilati sul palmo delle mani (carta mai), poi lavate sistematicamente. Sapeva il sacrificio e la durezza del ciclismo. Spesso le telecamere lo inquadravano sul palco, mentre consegnava il premio ai suoi atleti vincitori. E nell’ambiente si parlava delle sue mancette, che elargiva con disinvoltura. Il passato di corridore lo induceva ancora, d’inverno, a coprirsi il petto con la carta di giornale. Era spartano. Memorabili le sue trasferte di un giorno, da Sanremo alle tappe del Tour: portava con sè 4 mele, altro che pranzi e cene («do pomi andar e do tornar»). Il suo cuore resse malanni e tornò come nuovo, anni fa, grazie a un pace maker. Superò persino il dolore senza tregua per la morte del figlio Andrea, a soli 40 anni. Una frattura al femore, con complicazioni, lo aveva tenuto un mese in ospedale. Ma aveva vinto anche questa ultima tappa, tornando nella casa dietro piazza del Grano. Ieri la resa, per una crisi respiratoria.

Era nato a San Sisto di Villorba, e omaggiava sempre la mamma al cimitero: un tempo ci andava con la sua bici rossa, riattata da un antico modello da corsa. Non era da corsa nemmeno il suo modello più amato, che regalava agli amici: la classica «lunga vita».

Un’istituzione, Nani. Un’icona. La botega di piazza del Grano era diventata meta turistico supplementare della città. E la Granfondo Pinarello, l’ultima creatura della dinasty, è un esempio di come lo sport, a Treviso, diventi costume e tradizione, rito e turismo, indotto e business.

E’ stato un antesignano del modello Nordest: pioniere assoluto. Era «glocal» prima dei grandi imprenditori di Marca. Il suo brand era noto nei 5 continenti quando l’export sembrava un’eresia: da Treviso era già affacciato sul mondo, con idee e concretezza, semplicità e sapienza, così antica da essere la più moderna. La vecchia officina era la fucina del titanio, e oggi dei materiali all’avanguardia. La Dogma «f8», la Ferrari delle bici made in Pinarello, costa 10mila euro. E con rara intuizione aveva capito di dover diversificare, nel commercio di materiale sportivo. Di marketing non parlava nessuno, in Italia: ma lui era già lì, in tv, a far passerella. L’artigiano con le mani d’oro, ed era tutta pubblicità.

Sono in lutto i suoi dipendenti - scelti oculatamente fra i maghi dei telai (Elvio Borghetto), e gli ex corridori (Gemin, Tonon, Zen, Poser), Lo piangono i campioni del ciclismo a lui più vicini: Battaglin (che con le sue bici vinse Giro e Vuelta, e oggi è costruttore a sua volta). E Miguel Indurain, così amico da essere di casa in via Casa di Ricovero. «Tenetelo d’occhio», profetizzò nel 1987. Aveva avuto fiuto, e Miguelone non aveva dimenticato. E ancora Bertoglio, Delgado, Ullrich. Più stranieri che italiani, da vero glocal.

Lo piange la città, cui tanto ha dato, e che lo ha onorato con il «Totila», prima che lo Stato lo insignisse del cavalierato. L’isolato dove borgo Mazzini sfuma in piazza Matteotti è il suo borgo, e tutto parla di lui .

Aneddoti: centinaia in una vita come lunga come la sua. Era stato abilissimo a cavalcare la saga della maglia nera, quando duellava con Malabrocca e Carollo a colpi di imboscate e tranelli per restare indietro. Quando la vinse nel 1951, e fece il giro d’onore con la maglia rosa Magni, al Vigorelli, non risparmiò la stoccata al campione fascista: «Lo so, quanto la vorresti: ma la tengo io». E non amava che si dimenticassero le sue vittorie, fra le quali 2 popolarissime, una tappa al giro delle Dolomiti. Quando il Giro passava a Treviso, omaggiava anche lui, protagonista assoluto. E’ stato presidente dell’Uc Trevigiani, il primo presidente delle Vecchie Glorie del Triveneto. E fu uno dei leader della Finanziaria per il mondiali 1985 sul Montello.

Da oggi, dietro piazza del Grano, il mondo non sarà più lo stesso, Nani è andato in fuga, imprendibile. Lui che faceva di tutto per restare indietro. (a.p.)

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