Addio a Ettorina, regina e anima di Arman, ha nutrito Treviso con “ombre” e “cicheti”

È morta in casa di riposo a 89 anni una delle figure storiche della gastronomia locale: diresse fino al 2003 la nota osteria vicino al mercato
L’ULTIMA OSTESSA
 
«Se n’è andata l’Ettorina». Il tam tam ha viaggiato fra portici e piazze, sfidando il Covid e rimbalzando sui social. È spirata ieri, nella casa dell’Israa a Santa Bona, la signora Ettora. Arman, cognome superfluo. 
Aveva 89 anni, e fino al 2003 “è stata” l’osteria Arman, simbolo della comunità trevigiana. La quarta generazione della dynasty che oltre alle vigne di Col San Martino, oggi zona Unesco, con il bisnonno Iseppo aveva aperto una rivendita di vino al mercato di Treviso. Correva il 1872, il Veneto era italiano da soli 6 anni, l’Italia (quasi) fatta da undici. Iseppo vide che il vino piaceva e decise che si poteva fare il salto. Pioniere del Prosecco, imprenditore dell’ Horeca ante litteram.
 
Lei in osteria era entrata bambina, a 10 anni, nel ’41; aiutava i nonni Cecilia e Stefano e le zie. Poi era toccato ai suoi genitori Giuseppe ed Eugenia. E lei con la sorella Genoveffa. I fratelli, invece, nell’azienda agricola di Col San Martino, oggi del nipote Giuliano.
 
Il suo lunghissimo servizio ne ha fatto ben presto un’istituzione in città. Ha versato calici e “cicheti” (el vovo duro, museto , sopressa), ha distribuito cibo e pasti direttamente dalle tece per decenni. A tutta Treviso, a chi arrivava dai paesi vicini per il mercato, ai turisti dei 5 continenti, una volta persino a George Clooney. Senza orari né turni e spesso anche nelle feste comandate.
 
Una vocazione. Totale. Omaggiata da un affresco, tuttora in bella vista in osteria, che la ritrae ancora giovane al di là del bancone. Nel 1986, scomparso il marito Guido Sartorello, sposato 18 anni prima, era rimasta sola e senza eredi. Ma non si era arresa, anzi: ristrutturazione, affidata a Francesco Brandolini e Luciano Saro, raccomandando loro di «conservare le caratteristiche dell’ambiente». E poi la voglia di dare spazio all’arte e alla cultura: dal 1987, e ancor oggi, su quelle pareti faccia a vista tanto cariche di storia si sono susseguite (Covid e Dpcm permettendo, adesso) le mostre di artisti, disegnatori e vignettisti. 
 
Pittori e politici, professionisti e ambulanti, sportivi e bottegai, artigiani e impiegati, vip e ultimi: chi non è entrato da Arman per un’ombra e un goeosesso?
Fino al Duemila, la mensola dietro il bancone aveva ancora i bottiglioni di bianco e di rosso. E niente macchina del caffè: una moka da 12, nella cucina dietro. 
 
Nel 2003, quando aveva fatto capire di voler lasciare, si erano presentati i cinesi con pacchi di contanti: li aveva “cacciati”. «Qua devono restare le tradizioni». Era glocal, e Slow Food, senza forse saperlo. E lo aveva detto anche al giovane Stefano Zanotto, prima di affidargli l’osteria plurisecolare, ancor oggi di assoluta tendenza nonsolo in città. «Mi aveva fatto promettere che non avrei modificato la “linea” dell’osteria, e che avrei tenuto i vecchietti che giocavano a carte di pomeriggio», ricorda Zanotto, commosso (come il popolo delle osterie, in lutto). «E glielo avevo assicurato su quello che avevo di più caro. Un cosa mi ha insegnato davvero: trattare tutti allo stesso modo, ricchi e poveri, gente vestita bene e gente vestita male, nostrani o foresti».
Ettorina lo ha pure lasciato scritto: «Non è facile accogliere tutti allo stesso modo, ma ritengo giusto avere verso tutti le medesima disponibilità per creare un ambiente familiare, specie per anziani e gente sola», scriveva in “All’ombra di centomila ombre”, libretto che Lucio Polo e suoi amici clienti, noti e no, le avevano dedicato nel 2003 (e altro che centomila...).
 
«Tutti i miei clienti sono stati buoni, gentili e generosi con me», continuava. «E ne ho un grato ricordo perché l’assiduità e la fiducia costituiscono un elemento chiave di questa attività che ritengo bellissima, di grande utilità sociale». Un “testamento” che è anche una straordinaria lezione di professionalità per un’arte molto trevigiana. 
L’ex sindaco Gentilini, suo grandissimo amico, la piange: «La Ettora è stata un riferimento assoluto della trevigianità e un simbolo della nostra civiltà; ci andavo già negli anni ’40 e ’50, in osteria, c’era il tavolo della Cassa di Risparmio, mio padre ci andava con tutti i funzionari e dirigenti».
 
Grazie Ettorina, impareggiabile sacerdotessa di quei templi laici della convivialità trevigiana che cono le osterie, specie quelle refrattarie alla modernità. Ora ne hai una infinita, con un bancone leggero. E quanti clienti tuoi affezionatissimi hai ritrovato: puoi versare ancora... La città la saluterà martedì, alle 15, alla chiesa di Santa Maria Maddalena. Quella vicina all’osteria.—
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