Volley, Monica De Gennaro festeggia le duecento presenze con la maglia dell'Imoco

CONEGLIANO. Chissà che torta ci vorrebbe per farci stare 200 candeline. Di sicuro sarebbe un dolce coi colori giallo e blu e in bella mostra il numero 10 e il suo cognome che per la sesta stagione è stampato sulle maglie dell’Imoco: De Gennaro, di nome Monica o, come dicevan tutti, Moki, anche se il marito preferisce “Moni”. Con la sfida di domani contro Bergamo al Palaverde, la 31enne libero di Conegliano e della nazionale giocherà la sua duecentesima gara con la maglia delle pantere.
«Bisogna festeggiare – dice appena le sveliamo il raggiungimento di questo traguardo – è un’altra bella notizia in questo periodo molto bello per me». L’esordio con l’Imoco avvenne al Palaverde il 20 ottobre 2013 (vittoria 3-1 su Frosinone): in poco più di 5 anni De Gennaro ha difeso i colori dell’Imoco in 146 gare di campionato italiano tra regular season e playoff, 16 di Coppa Italia, 3 di Supercoppa, 29 di Champions League, 6 di Cev Cup. Prima di arrivare a Conegliano Moki aveva giocato tre stagioni a Pesaro, dove ha incrociato persone che poi, in tempi diversi, avrebbe ritrovato qui all’Imoco: tra le compagne c’erano Ortolani, Tomsia, Agostinetto, Tirozzi, Gibbemeyer, lo scout man era Elia Laise, e, l’ultimo anno in panchina il vice allenatore era Valerio Lionetti e assistente allenatore l’allora “solo” fidanzato Daniele Santarelli.
Cosa ricordi di quel periodo marchigiano?
«La società negli anni precedenti aveva vinto molto (tre scudetti e tre Supercoppe consecutivi, Coppa Italia e Coppa Cev) mentre io arrivavo da un periodo difficile e in una situazione non facile A2 ad Aprilia: non avevo trovato squadra in A1 e dopo quella stagione ho voluto dare una svolta alla mia carriera. A Pesaro sono cresciuta tantissimo, mi sono trovata benissimo lì nella città e nella società, che aveva continuato ad allestire squadre forti: purtroppo non sono più arrivati altri trofei, ma avevamo raggiunto Final Four di Champions e semifinale di Coppa Italia».
Perchè la scelta di Conegliano? Che aspettative avevi?
«Ero in scadenza di contratto e il mio procuratore Marco Raguzzoni, mi ha proposto l’Imoco: la squadra al suo primo anno era arrivata in finale scudetto e aveva grandi ambizioni, così come le avevo io. Volevo arrivare a vincere qualcosa e di quella scelta non mi sono pentita».
La delusione sportiva più grossa e la più grande soddisfazione?
«Nel 2014 abbiamo ospitato al Palaverde la Final Four di Coppa Italia, ma eravamo state eliminate ai quarti da Busto; è stato un peccato non esserci. Tra il primo e il secondo scudetto scelgo quello del 2018: due anni fa era stato il frutto naturale di una bella stagione, questa volta è stato molto più sudato e intenso, raggiunto superando anche i momenti difficili degli infortuni di tante compagne. E poi è arrivato a coronamento del primo anno di matrimonio».
Tra le tante giocatrici che hai visto passare in 5 anni (comprese le attuali) chi ti ha colpito maggiormente?
«Non me la sento di fare nomi, perché farei un torto a qualcuna. Chi è all’Imoco ha le qualità per essere qui».
Eri già vissuta a Vicenza dove hai giocato dal 2002 al 2009; da cinque anni sei a Conegliano. Cosa ti piace e cosa no del Veneto?
«Non c’è nulla che non mi piaccia. Mi trovo bene da tutti i punti di vista, anche perché sennò non sarei rimasta per così tanto tempo. Ho apprezzato il clima e il fatto che non ci sia tanta nebbia, a differenza magari della Lombardia; è bello anche essere ad un’ora dal mare (anche se non è come in costiera) e dalle Dolomiti. Non manca nulla».
Hai esordito come banda; sei diventata il libero più forte del mondo con i due premi ai Mondiali 2014 e 2018. Dopo quel colpo, magnificato da tanti, con cui hai servito De Kruif nella gara di Monza, ti vedresti come palleggiatrice?
«Assolutamente no. Meglio che continuo a fare il libero».
Cosa dici della tua pari ruolo in squadra Eleonora Fersino, che da sempre ti vede come modello?
«Ho avuto modo solo nelle ultime settimane di giocarci assieme, perché l’anno scorso, quando ci dava già una mano in allenamento non l’ho incrociata spesso: è molto talentuosa e brava, ovviamente ha molto da imparare, non solo da me, ma anche da chi gioca in altri ruoli. La vedo già “prontina” e sicuramente potrà darci una grossa mano».
Ti ha già chiesto qualche consiglio?
«Adesso è un po’ difficile, non perché io incuta soggezione, ma forse lei si sente ancora un po’ a disagio. Ma avremo modo di conoscerci meglio in palestra e fuori». C’è da augurarsi che l’allieva superi la maestra, anche se la maestra ha ancora molto da dare. Duecento di queste maglie Moki! Magari, un giorno lontano, il tuo numero 10 gialloblù sventolerà di fronte al 9 orogranata di Bernardi. Leggende viventi.
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