Volley, la schiacciata di Bernardi: «Noi professionisti»

L’ex coach di Perugia contesta l’esonero in tribunale: «Licenziato come un dipendente. E chiedo il diritto alla pensione»
Lorenzo BERNARDI durante Memorial Valter Baldaccini presso PalaEvangelisti Perugia IT, 25 settembre 2018 - Foto di Michele Benda per VolleyFoto [Riferimento file: 2018-09-25/ND5_3651]
Lorenzo BERNARDI durante Memorial Valter Baldaccini presso PalaEvangelisti Perugia IT, 25 settembre 2018 - Foto di Michele Benda per VolleyFoto [Riferimento file: 2018-09-25/ND5_3651]



«Se mi licenzi per giusta causa significa che mi consideri un dipendente. Per il mio sport, però, sono ancora dilettante e non professionista: qualcosa non quadra». Lorenzo Bernardi, trentino d’origine ma trevigiano d’adozione, ha fatto la storia del volley italiano. Ora invece potrebbe scrivere una pagina di primaria importanza per tutto il movimento sportivo tricolore. Nell’estate della richiesta a gran voce del professionismo da parte delle calciatrici azzurre, Mister Secolo piazza una schiacciata che potrebbe sgretolare muri ritenuti solo poco tempo fa inscalfibili.

Il licenziamento a Perugia, in coda a una stagione che aveva visto comunque la Sir Safety portare a casa la Coppa Italia e approdare in finale scudetto (persa con Civitanova), ha indotto il noto allenatore a rivolgersi al giudice del lavoro del Tribunale del capoluogo umbro. Il ricorso è stato depositato il 1° agosto e un’eventuale sentenza favorevole - il "caso" è seguito con attenzione dal Coni: “Lollo” rappresenta i tecnici nel “parlamento” del Foro Italico - potrebbe rappresentare una pietra miliare nella battaglia per il riconoscimento dello status di professionista a tutti quegli atleti - donne in primis, oggi le più discriminate - che non hanno nulla a che fare con il dilettantismo, ma la loro disciplina non rientra nelle quattro - tutte maschili - tutelate dalla legge 91 del 1981: calcio, basket di A1, ciclismo, golf. Benché da noi non imperi la “common law”, non si esclude che la vicenda possa avere l’esplosività di una “Bosman”. Nota a margine: nei decreti delegati del ddl sullo sport, si cita “il lavoro sportivo”, con l’apertura al “semiprofessionismo” per la pallavolo e altri sport femminili.

«Non sono stato sollevato dall’incarico, com’è nei poteri di un presidente», precisa Bernardi, assistito dall’avvocato perugino Siro Centofanti, «Perugia mi ha licenziato per giusta causa, contestandomi alcuni punti. Ma le motivazioni sono tipiche del licenziamento di un dipendente, status che il mio sport oggi non mi riconosce». Due gli obiettivi principali: «Far emergere come le contestazioni mosse non sono motivo di giusta causa, ottenendo nel contempo annessi e connessi previsti nei contratti di lavoro».

Ma è il possibile riconoscimento pro’ che potrebbe scavare un solco: «Non mi sostituisco al giudice del lavoro, spetterà a lui decidere. Non credo la sentenza avrà la portata di una “Bosman”, ma, senza dubbio, potrà dare un segnale importante. Magari spostando qualche equilibrio». Il ragionamento si concentra anzitutto sul suo sport: «Cos’abbiamo di diverso dal basket di A1? Come può fare dilettantismo una società che ha tesserati con contratti da 1 milione di euro, 600 o 300mila? Perché non è pro’ uno sport, dove i montepremi arrivano a 500mila e l’attività di club dura 10 mesi?».

Poi la mente torna alla carriera di giocatore, prim’ancora che di coach: «Ho dato la vita allo sport, ho partecipato a 22 campionati di Serie A e smesso a 41 anni. Com’è possibile che non possa avere diritto a una pensione? Il volley mi porta a lavorare da agosto a maggio, siamo in campo pure il 26 dicembre. No, questo ritardo rispetto ad altri sport non è più sostenibile». —



Riproduzione riservata © Tribuna di Treviso