«Valentino va forte ma non mi sorprende ci stupirà ancora»

di Mauro Corno
Casey Stoner è un tipo particolare nel rapporto con la stampa. La sua loquacità dipende molto da come si sveglia al mattino. E quando lo incontriamo, nella Bergamasca, in occasione di un evento organizzato da un’azienda produttrice di caschi (la Nolan), deve avere passato una nottata tutto sommato tranquilla. I padroni di casa ti fanno capire che l’australiano può essere disturbato, ma non troppo: a infastidirlo, negli ultimi tempi, è stata sempre la stessa domanda sul suo futuro e – dicono – non vuole ripetere in continuazione la risposta. Ma con il due volte campione del mondo delle MotoGp (nel 2007 trionfò con la Ducati, nel 2011 con la Honda) non si può non partire proprio da lì: ha lasciato le competizioni nel novembre del 2012, ma quando è tornato in sella come tester delle Rosse di Borgo Panigale ha dimostrato di non essere inferiore alla stragrande maggioranza degli avversari.
Casey, torna o non torna?
«Non ho pianificato di ricominciare a gareggiare, penso solamente ai test e nelle prossime settimane discuteremo di quando faremo altri test. Al momento abbiamo solo questo in programma e non pensiamo ad altro».
Dall’anno prossimo ci sarà Lorenzo in Ducati.
«Sono contento che arrivi, è un grande pilota e un grande tester, dovrà adattarsi un pochino alla moto e la Ducati dovrà adattarsi a lui. È un campione del mondo, in questa stagione è stato sfortunato in alcune gare ma si giocherà il titolo fino alla fine. Sono curioso di vedere cosa dirà della moto quando la proverà a Valencia, ma non possiamo predire il futuro e vedremo poi passo dopo passo cosa succederà».
Lei sarà una sorta di coach dello spagnolo?
«No (ride, ndr), ho esperienza e posso spiegargli alcune cose ma ogni pilota ha la sue idee e sa cosa fare: anche lui saprà di sicuro cosa fare».
In estrema sintesi: con Lorenzo nel 2017 sarà una Ducati da titolo?
«Non sono né ottimista, né pessimista, sono realista. Faremo altri passi in avanti in inverno e con un po’ di fortuna nella prossima stagione tutto potrà succedere, il campionato sarà aperto».
Il 2016 è stato fino a oggi altalenante per le Rosse.
«Se Andrea Dovizioso non avesse avuto problemi nelle prime gare sarebbe ancora più in alto in classifica e ora per lui è difficile continuare a spingere. In casa Ducati dovremo essere tutti bravi per essere ancora più competitivi ma non guardiamo troppo al futuro, lavoriamo. E ci sono indicazioni positive: ad Assen, per esempio, abbiamo avuto a un certo punto anche quattro moto tra le prime cinque e per questo siamo dispiaciuti di non aver raggiunto i risultati che meritavamo. Tutti stanno lavorando duro per ridurre il gap e fare progressi, considerando anche il lavoro con i nuovi pneumatici».
Valentino Rossi, intanto, non molla. Se l’aspettava?
«Non sono sorpreso, non penso sia troppo vecchio. Anche Doohan ha iniziato a vincere tardi, più o meno alla sua età. Chi corre maratone ha picchi dopo i 40 anni. Il picco per un pilota non è per forza a 20 o nei primi anni dei 30. Se il fisico è in buone condizioni non c’è motivo per cui non possa correre per tanti anni. A Valentino non piace perdere e questo è importante per lottare per il titolo. Senza di lui questi anni sarebbero stati molto meno interessanti. Ci sono stati tanti errori per tutti finora, anche per il non facile adattamento con le nuove Michelin, ma Valentino sicuramente sta andando forte e ci stupirà ancora».
Cosa le manca di più del suo passato agonistico?
«Mi mancano le persone con cui ho avuto il piacere di lavorare ma anche quelle che ho conosciuto in maniera più superficiale. Sono cresciuto in questo mondo e ci ho passato 10-15 anni, ho coltivato tanti rapporti. Mi piace fare il tester ma non mi mancano le corse. Quando vedo le gare vedo le facce di tutti sotto pressione, con stress, la mia situazione è invece molto diversa. Mi godo quello che faccio».
Di recente ha partecipato al “World Ducati Week”.
«È stato bello tornare in Europa, tra i test e il weekend di Misano. Era da tanto che non tornavo, vedere tutti questi tifosi a quattro anni dal mio ritiro è stato speciale, non posso che ringraziare tutti i sostenitori italiani. È bello essere apprezzato, forse adesso anche di più di quando correvo (ride ancora, ndr): non dimenticherò mai queste emozioni. D’altro canto in Ducati ho sempre trovato qualcosa che altri non avevano».
La tragica morte di Luis Salom a Barcellona è stata solo fatalità o rappresenta anche un campanello d’allarme?
«La sicurezza è un aspetto che mi sta molto a cuore, io credo che quell’incidente potesse essere evitato. Per molti anni ho spinto per non avere l’asfalto all’esterno delle curve, ma molti preferiscono poter spingere, sbagliare e rientrare. È conveniente ma non sicuro, non è positivo per i piloti. Se cadi, non ti fermi e può succedere solamente una cosa. Purtroppo il mio tentativo è stato inutile, troppi nella commissione piloti spingevano nell’altro senso. C’è bisogno comunque di cambiare: prendiamo la pista che c’è in Austria, è pitturata all’esterno delle curve e se cadi non ti fermi finché non arrivi al muro. Bisogna fare attenzione. Spesso le persone si dimenticano di quanto la vita sia delicata, vogliono solo vedere correre, sbagliare e rientrare, ma se fai un errore in un punto critico può essere l’ultimo».
Anche lei a Suzuka, lo scorso anno, in occasione della “8 ore” corsa con una Honda, è stato protagonista di un brutto incidente con la frattura di tibia e scapola.
«Già in prova c’era stato un momento spaventoso quando ho sfiorato le barriere. In gara un problema tecnico (acceleratore bloccato, ndr) ha portato al mio incidente. Devo ringraziare Nolan perché la testa è l’unica parte del mio corpo che non è stata danneggiata anche se avrei preferito essere incosciente in quei momenti: è stato davvero dolorosissimo».
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