Una donna arbitro in mezzo ai giganti del braccio di ferro
Katia Crucitti, di Treviso, parte per l’Ungheria, dove arbitrerà ai Mondiali

TREVISO. Ora tocca ai Mondiali. Katia Crucitti, l’arbitro donna del braccio di ferro, sta per volare a Budapest dove nel weekend dirigerà gli incontri finali, dunque più importanti, di una manifestazione iniziata sabato. Katia, origini calabresi, è sposata con un atleta di questa difficile disciplina, Thomas De Marchi, e dirige molte gare anche nel territorio “di casa”, nella Marca. E’ stata la prima donna in Italia e la quarta nel mondo a raggiungere la qualifica di Master nell‘arm wrestling (la denominazione internazionale del braccio di ferro), cosa di cui va fiera, anche perché ultimamente un suo allievo, Denis Tognana, mestrino, ha superato al primo colpo l’esame da senior, il grado intermedio (il primo è lo junior). Insomma, stiamo parlando di una autentica autorità del settore. «Per me questo è il terzo mondiale - spiega Katia - mi aspetto di arbitrare gare con atleti senior piuttosto importanti, è una categoria complessa e prevedo una tensione che andrà veramente alle stelle».
Le difficoltà di arbitrare il braccio di ferro aumenteranno?
«No, restano le stesse, come resta lo stesso il regolamento. Ogni incontro è a sé, nel senso che ha davvero una storia a parte: quando magari ti aspetti un match lungo e difficile, termina in pochi secondi, e viceversa. Ci sono tante variabili, ma per un arbitro esperto una gara vale l’altra».
Ci devono essere tanti particolari da cogliere in gara.
«Certamente, e non sai mai quali sono proprio perché ogni incontro non è mai uguale all’altro. La caratteristica principale di un arbitro dev’essere la velocità: un arbitro deve essere veloce nel posizionamento al tavolo. Gli arbitri devono essere veloci e attenti nel carpire ogni minima infrazione. E al tavolo bisogna avere una prospettiva corretta per tenere tutto sotto controllo in spazi ridotti».
I colori italiani possono andare a medaglia a Budapest?
«La squadra azzurra ha 25 atleti in tutte e tre le categorie, io naturalmente mi auguro che arrivi qualche buon risultato: punto su un ragazzo siciliano juniores che può darci grandi soddisfazioni, Gabriele Giordanella».
Lei può arbitrare gare con atleti italiani?
«Sì, ma fino alle semifinali: se un italiano va in finale no. Considerate che al tavolo sono presenti sempre due arbitri, dovessero essere due italiani a dirigere un italiano la cosa diventerebbe complessa, ma uno solo può. In finale invece è proibito, anche se siamo al di sopra delle parti».
Si tende a credere che solitamente vinca il concorrente fornito dei bicipiti più potenti ed esplosivi.
«Non è detto, anzi non è per niente scontato che vinca il più forte, può vincere anche il più veloce, è uno sport altamente tecnico e per noi ci vuole una buona capacità di gestire il match. Aggiungo che ci vuole anche un pizzico di fortuna: un atleta può essere fortissimo ma se commette due infrazioni è fuori, il fallo più frequente è alzata del gomito; poi lo sgancio, intenzionale o in fase perdente. Per cui il compito di noi arbitri è estremamente delicato, soprattutto a un Mondiale».
Dove c’è da immaginare girino molti interessi.
«Ai Mondiali non ci esistono premi in denaro, però ci sono nazioni che puntano parecchio su determinati atleti: portare a casa un titolo iridato per loro può voler dire molto, magari avere degli incentivi oppure aiuti economici. In Italia questo non esiste».
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