Un solo obiettivo: la vittoria

Quando il “cinque stelle” era solo il segno distintivo di un albergo di lusso e il futuro politico non appariva ancora all’orizzonte ottico, l’allora comico Beppe Grillo presentava su Rai 1 una simpatica trasmissione intitolata “Te lo dò io il Brasile”, documentario semiserio sul variopinto paese sudamericano. Erano gli anni ’80 e il Brasile camminava a piedi nudi. Stretto nelle favelas si aggrappava al samba e alla bossa nova, versava lacrime per quella Seleção che l’Italia estrometteva dal Mondiale del 1982 mentre i vari Zico, Falcao e Socrates erano troppo impegnati a guardarsi allo specchio.
Sono passati trent’anni, Beppe Grillo è sceso oppure salito, insomma si è messo in politica diventando il guru di un imponente movimento e quello stesso Brasile indossa scarpe di marca, bussa alla top ten dei paesi più industrializzati del mondo e nel giro di due anni ospiterà Mondiali di calcio e Olimpiadi, liberandosi dell’etichetta “terzomondista” per entrare nel salotto buono. E anche il calcio, un tempo saccheggiato dai club di mezzo mondo, non è solo un giacimento di talenti ma un’industria florida e attiva che richiama gli emigranti di lusso come Pato e Ronaldinho e ingaggia anche campioni stranieri. Ovviamente non c’è alternativa al successo nel Mondiale fatto in casa per la Seleção che intende sfruttare la Confederations Cup come sala prove in vista della rassegna iridata. Dopo le ultime due esperienze fallimentari la potente Cbf ha deciso di puntare sull’usato sicuro, richiamando in panchina un vecchio e saggio ammiraglio del calcio come Felipe Scolari, una sorta di Hemingway della panchina già capace di vincere il Mondiale nel 2002. Scolari però non si è fatto prendere dall nostalgia e non ha convocato i reduci del successo nippo-coreano di 11 anni fa, lasciando a casa Kakà, tenuto a lungo in naftalina da Mourinho nel Real Madrid e Ronaldinho, reduce da un ottimo campionato con l’Atletico Mineiro ma per il momento ai margini di un progetto ancora in fase sperimentale. Tra i big non c’è Pato che si è perso nella nebbia di Milanello ma non si è ritrovato nemmeno al sole di San Paolo.
L’unico italiano in lista è il laziale Hernanes anche se la sensazione è che non sarà una delle prime scelte per il centrocampo. Un Brasile che abbina esperienza e meglio gioventù e allora accanto ai certificati del tesoro garantiti di Julio Cesar, Thiago Silva e Fred ecco gli emergenti Oscar, Bernard e soprattutto Neymar, la stella mediatica del calcio brasiliano approdato di recente al Barcellona e che in questa Confederations Cup dovrà dimostrare di saper giocare a calcio oltre che ballare al ritmo del tormentone di Michel Telò. Un Brasile che non ha il tasso tecnico di quello di Ronaldo e Rivaldo di 11 anni fa e nemmeno il narcisismo di quello del 1982. Però è un Brasile moderno che lascia il samba e la bossa nova fuori dal campo, che dà del tu al pallone ma entra anche a gamba tesa. Per informazioni chiedete pure a Beppe Grillo.
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