Santarelli, l’Imoco nel destino «La Champions? Riproviamoci»

TREVISO. Giocava a calcio di nascosto, i suoi genitori non volevano. Così non poteva durare molto, e gli è andata di lusso: passare dai campi infangati ai bagher rovesciati ha cambiato la vita di Daniele Santarelli. Che nel volley ha trovato due carriere (da giocatore e, ci perdonerà, decisamente più brillante da coach), tanti amici e un amore (Monica De Gennaro, che lo scriviamo a fare?). Ah, e visto che il tempo abbonda, si è trovato pure un secondo lavoro...
Coach, com’è arrivata la proposta della Croazia?
«Ero in viaggio di nozze (un anno dopo, a dir la verità), siamo stati a New York, Orlando e ai Caraibi. Atterriamo e ricevo una telefonata da Samanta Fabris: “Sai, c’è un problema con l’allenatore, non è che sei interessato?”».
Addio luna di miele...
«Beh, era necessario staccare e così abbiamo fatto. Per fortuna non dovevo tornare indietro, anche se credo che mia moglie mi avrebbe perdonato... Però ne abbiamo parlato. Moni l’ha presa bene, ma tanto è lei quella che non c’è mai... Se Fabris mi ha chiesto una percentuale? Per ora no. Comunque il 5 luglio siamo atterrati a Roma, e il 6 ero a Zagabria».

Poi è Monica a viaggiare, fino in Giappone...
«Orari infami per sentirci, quindi poche telefonate ma tanti messaggi».
Quasi 6 milioni e mezzo in tv per la finale.
«È il primo sport al femminile per partecipazione. Ora è importante gestire il momento, creare dei personaggi, tipo Zaytsev».
Che lei ha allenato quand’era un bambino.
«Beh, io avevo 19 anni... Lui 13, aveva del talento ma era ancora piccolo, faceva fatica ad andare a rete. Due anni dopo ho scoperto che era diventato alto due metri».
Lei quando ha appeso le ginocchiere al chiodo?
«Ho smesso a 28 anni, ma la svolta è arrivata a 25, quando giocavo a Vicenza: era il primo anno che facevo solo il giocatore, ma ho capito che non sarei riuscito ad alzare l’asticella. Quindi un anno in B2 e poi mi sono ritrovato a Pesaro».
E in pochi anni si è ritrovato a Conegliano. Quanto conta la stima di Garbellotto e Maschio?
«La fiducia è fondamentale, ho bisogno di supporto e di confronto umano, sotto stress non rendo al massimo».
Vivere di fatto tutti insieme non comporta un aumento di tensioni?
«Il rischio dell’Imoco Village è di non riuscire a staccare, invece ha stretto ancora di più i rapporti tra le ragazze. Si ritrovano per cena, sanno che c’è sempre qualcuno dello staff nelle vicinanze. È un must, c’è poco da fare. Certo, magari è rischioso, ma l’anno scorso alla fine ci siamo ritrovati a fare grigliate in giardino».
Chi cucina?
«Beh, Fabris. I suoi genitori hanno un ristorante in Croazia, quindi è avvantaggiata. Ma tutti diamo una mano. In casa? Moni, dice che quello è il suo regno. Ma mi rendo utile in altri modi. Ho la cassetta degli attrezzi».
Sempre e solo Volley?
«Invece mi piaceva il calcio. Anzi, volevo giocarci, ma i miei genitori erano contrari».
Come mai?
«Ero cagionevole. Quindi era meglio un palazzetto. Però ci ho provato: giocavo di nascosto. Non potevo comprarmi le scarpe ma avevo un amico che me le prestava. Erano più piccole, un dolore assurdo. Poi a 14 anni ho scelto».
Papà Gualtiero e mamma Giuliana l’hanno saputo?
«Prima di sposarmi. Mi sono tolto un peso... Con la mia famiglia ho un rapporto splendido. Li ho vissuti forse un po’ troppo poco, perchè comunque sono andato via di casa molto giovane E così ha fatto anche mio fratello, Massimo, che fa il finanziere. Ora mia madre viene a trovarmi più spesso, è venuta a Zagabria per l’esordio in nazionale».
Quando hanno conosciuto la tua fidanzata dell’epoca, ora sua moglie?
«Il giorno in cui ho discusso la tesi in Scienze motorie, a giugno 2008. È venuta anche lei, tanto io ero già abbastanza nervoso... Quando è morto mio padre ha sofferto come me».
E l’ha detto a tutti gli italiani, dedicandogli l’argento.
«È riservata, ci mette un po’ a sciogliersi. Ma sul lavoro è lei a essere polemica con se stessa: “brave tutte, ma io ho giocato male” è lo standard».
Ma qual è l’hobby di casa?
«Sono un appassionato di cinema, ma lei meno... Si addormenta subito. Lunedì aveva la scusante del fuso orario, così ho scelto un film tosto per tenerla sveglia, l’ultimo Jurassic Park. Inizio visione ore 20.55, dormiva alle 21. Ecco, meglio le serie tivù, 40’ li regge».
Lunedì, appena in tempo per leggere della morte di Gilberto Benetton.
«Sono cresciuto con il mito della sua squadra, la Sisley era una leggenda. Alzare gli occhi al Palaverde regala brividi».
Tutti parlano della Champions, tranne lei.
«Un po’ ho ripensato al tie break con il Vakifbank. Ma sono uscito sereno. Chiaro, siamo qui per riprovarci».
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