Reginato spinge il Cagliari «In alto, come me e Riva»

«La squadra di Maran può seguire le nostre orme: l’Europa non è un sogno I miei esordi? Con la Piave River, poi arrivò il Treviso di Piero Bortoletto in C»



Quel Cagliari terzo in classifica gli fa brillare gli occhi. Quelle sgroppate di Radja Nainggolan lo fanno entusiasmare. Di questi tempi, un po’ tutti gli fanno la stessa domanda, cercando parallelismi fra la grande sorpresa dell’attuale Serie A e i mitici rossoblù di Gigi Riva campioni d’Italia nel 1970. Adriano Reginato, 82 anni il 19 dicembre, trevigiano d’origine e innamorato perso della Sardegna, era portiere di riserva del Cagliari scudettato e preferisce mettere le mani avanti: «L’unica analogia è che stanno andando bene… Il nostro gioco era però altra cosa, i giocatori pure. Il Cagliari del ’70 era più forte, questo lo sta diventando». Iniziò a vestire rossoblù nel 1966. Tuttora suo il record d’imbattibilità - 712’, stagione 1966-‘67 - dalla prima giornata nella massima serie. Poi fece il secondo di Pianta e Albertosi, ma la festa per il titolo resta fra i ricordi più belli. Tanto che il rossoblù è diventato una seconda pelle, tanto che in “continente” non ci è più tornato. Come Riva e Greatti, ha scelto di continuare a vivere a uno sguardo dal Poetto. Reginato è l’interlocutore ideale per celebrare la compagine di Rolando Maran.

Perché eravate più forti?

«Anzitutto il gioco. Ai miei tempi, la tecnica era molto più raffinata. Oggi c’è il pressing che la imbriglia. E poi, il mio Cagliari aveva mezza Nazionale. Quello stesso anno, si perse il Mondiale solo all’ultimo atto, dopo una memorabile semifinale con la Germania».

Che effetto fa vedere i sardi così in alto?

«Bellissimo. Speriamo restino lassù, ma sarà difficile. Penso a squadre come Napoli o Milan, ora dietro ma destinate a risalire. Non me l’aspettavo facessero così bene. Erano partiti male, ma non mi erano dispiaciuti. Il segreto è non guardare mai i risultati all’inizio, la preparazione può imballare le gambe. Ora Nainggolan e Cigarini volano».

Il punto di forza?

«Il centrocampo da Champions, quasi assomiglia al nostro con Domenghini. Radja, Rog… Ma tutti stanno rendendo al massimo, pure Olsen. Lo stesso Joao Pedro è risorto, Simeone ha confermato le sue qualità. C’è una congiuntura favorevole. Maran? Quando una squadra va bene, l’allenatore è fondamentale. Cambia poco la formazione, giostra i giocatori con intelligenza».

Prospettive?

«Meglio non sognare troppo e rimanere con i piedi per terra. La speranza è che riescano a raggiungere l’Europa. Troppo ghiotta sarebbe la Champions… Ma il Napoli e le altre dietro, dove le mettete? Fosse per me, fotograferei subito la classifica e la lascerei così».

Nostalgia della Marca?

«Ormai abito a Cagliari da 53 anni… Dopo lo scudetto, ci siamo fermati in otto. Qui ho fatto pure il responsabile del settore giovanile. I miei figli sono nati in Sardegna. E poi, quest'isola è un paradiso... Sì, la nostalgia è ormai attenuata. Dalle vostre parti, però, ogni tanto capito».

L’ultima volta?

«Quest’estate. Mia sorella Fanny abita a Castagnole, ma siamo originari di Carbonera. Abbiamo passato 20 giorni a Predazzo con figli e nipoti».

Gli esordi?

«Con la Piave Rapid e la squadra della Cartiera Burgo, dove lavoravo. Poi arrivò il Treviso in Serie C, in panca Piero Bortoletto. Mi alzavo alle 5.30 per allenarmi, dopo riparavo televisori e mi aspettavano in fabbrica a Mignagola. La vita svoltò, quando seppi che un "certo" Nereo Rocco voleva vedermi: lo stipendio del Torino l’avrei preso a Treviso in sette anni».

L’elisir di lunga vita?

«I nipoti, ne ho 4, sono la migliore medicina». —



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