I campioni nati sul campo di via Biagi

Serena, Buso, Magrin e Agnoletto hanno giocato in nazionale e in Serie A. La bocciatura arriva alla vigilia dei 100 anni 

MONTEBELLUNA. È triste vedere il glorioso gonfalone del Montebelluna afflosciarsi e retrocedere di categoria. È triste, anche se è stata una retrocessione annunciata, fattasi via via più concreta a mano a mano che il campionato volgeva al suo epilogo. Una retrocessione già sfiorata nelle ultime stagioni e poi sempre evitata per un moto d’orgoglio al momento opportuno. Nel campionato 2016-2017, quando tutto sembrava perduto, Matteo Zulian, subentrato a Gianfranco Fonti in corso d’opera, aveva compiuto un autentico miracolo per ridare vitalità, gioco e carattere ad una squadra confusa e dispersa, sino a farla risalire in ottima posizione di classifica. Un miracolo sportivo, appunto.

L’impresa quest’anno non è riuscita, perché i miracoli, se sono veramente tali, non si possono ripetere.

E così il Montebelluna, dopo 14 campionati ininterrotti in Serie D, ha dato addio, almeno per ora (i ripescaggi possono sempre aiutare), alla più prestigiosa categoria del cacio dilettantistisco, proprio alla vigilia del suo centesimo compleanno, essendo del 1919 la prima notizia ufficiale di una squadra di calcio della città, l’U.S. Montebellunese, impegnata nell’autunno di quell’anno in una sfida con la neonata Virtus FBC di Treviso.

Ridimensionamento triste, ma non nuovo nella storia del Montebelluna, fatta, come tutte le vicende della vita, di periodi di grandi risultati e grande entusiasmo alternati a momenti di profonda depressione, in un susseguirsi di continue salite e discese, talvolta assai più gravi di quella attuale. Nel 1949, ad esempio, il Montebelluna, dopo tre campionati in serie C della Lega Nord e uno in serie C nazionale, finisce la stagione addirittura senza i soldi necessari per l’ultima trasferta.

Ma da quel fallimento il Montebelluna rinasce prontamente, riparte dalla prima divisione, e dopo alcuni campionati di sali scendi, nel 1957 conquista la prima categoria dilettanti (l’organizzazione dei campionati aveva vissuto diverse trasformazioni, anche nei nomi) in cui rimane sino al 1969 quando approda per la prima volta in serie D, da cui discende subito, per risalirvi immediatamente. È il 1971, anno magico per il Montebelluna che, con Umberto Favero presidente e Berto De Bortoli allenatore, colleziona una storica doppietta: campionato e coppa Italia.

In serie D il Monte rimane per 10 anni, sino al 1981, quando (Tiziano Tessariol presidente, Romolo Camuffo allenatore) conquista la serie C2, in cui rimane, con ottimi piazzamenti, per sei anni. Poi chiede di essere retrocesso in Interregionale, l’attuale serie D. Sono anni sempre più difficili per il presidente Tessariol e il suo successore Matteo Cecchele, culminati nel 1997 con un nuovo fallimento, sportivo ed economico.

Ancora una volta però il Montebelluna riparte. Lo guida Gino Montagner che nel giro di pochi anni, pur con l’intermezzo sciagurato della fusione con Caerano e Montello, riporta la squadra nelle categorie che competono alla sua storia: in eccellenza nel 2002, allenatore Enrico Franco, in Serie D nel 2004, allenatore Umberto Trinca.

Il resto è storia recente. Quattordici campionati in serie D, pur con cambiamenti societari (da Montagner a Michielin, da Rossetto a Brombal), sono una serie di cui la società può andare orgogliosa. La conclusione, almeno per ora, è quella triste che conosciamo. Ma il Montebelluna che ha sempre saputo riemergere dalle sue cadute, è chiamato a farlo ancora una volta. Una società che ha fatto crescere giocatori come Silvio Tremonti e Marcello Agnoletto, Aldo Serena e Marino Magrin, Attilio Tesser e Maurizio Restelli, Carlo Osellame e Renato Buso, per citarne solo alcuni, una società che ha vinto una serie infinita di campionati nazionali con il suo settore giovanile, non può fermarsi per una retrocessione. Non deve essere una condanna. Solo un punto da cui ripartire.

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