Dino Baggio al Montebelluna: «Vi presento la tattica»

Montebelluna. L’ex centrocampista della Nazionale fa il consulente per Giovanissimi e Allievi «Il calcio italiano va azzerato. La Serie A? Seguo solo la Champions, altro livello»
Cipolla Montebelluna campo sportivo Dino Baggio
Cipolla Montebelluna campo sportivo Dino Baggio

MONTEBELLUNA. Un regalo che qualsiasi società di calcio sognerebbe di farsi. Un papà del calibro di Dino Baggio che porta i figli al campo e assiste con occhio clinico agli allenamenti. Perché non coinvolgerlo? Perché non rimettergli la tuta? Il Montebelluna non ha fatto in tempo a chiederlo e l'argento mondiale di Usa ’94 (nel palmares tre Coppe Uefa) ha accettato in un amen: non gli pareva vero di tornare a respirare l’erba. In via Biagi ci stanno facendo l’abitudine, ma vedere il 46enne ex centrocampista di Juventus e Lazio, fischietto in bocca a dare direttive, un certo effetto continua a farlo. Da qualche tempo, è collaboratore tattico per Giovanissimi Élite e Allievi Sperimentali, annate 2002 e 2003. I precetti del “guru” Sacchi trasmessi alle squadre dei pargoli. E in un club che fa del vivaio la bandiera, ragionare sulla valorizzazione dei giovani talenti diventa un rigore a porta vuota. Il campione tombolano suggerisce la ricetta per rialzare il capo dopo il mancato pass per Russia 2018, spinge per il rilancio del prodotto italiano e confida nell’elezione di Damiano Tommasi ai vertici del nostro calcio.

Montebelluna calcio, a scuola di tattica con il campione Dino Baggio


Dino Baggio, come mai a Montebelluna?

«Mi hanno tirato dentro gli allenatori Casagrande e Da Riva, devo ringraziarli. Fino a un paio di mesi fa, mi limitavo a portare i figli a Montebelluna. Però mi fermavo agli allenamenti, li seguivo, aspettavo. Così me l’hanno buttata lì: “Perché non vieni a darci una mano, invece di prendere freddo?”. Il campo non mi mancava, ma da quando ci sono tornato, non riesco più a uscirne. Sento il desiderio di stare con i ragazzi e lavorare. Mi piace vedere che iniziano a fare quello che spieghi, soddisfazioni impagabili».

Cosa insegna ai ragazzi?

«Anzitutto a divertirsi. Sul piano tattico, cerco di insistere sulla velocità di pensiero e posizione in campo. Se sai trovare quella giusta, eviti gli errori e corri meno».

Così forgia pure i figli: Alessandro e Leonardo...

«L’uno difensore centrale, l’altro centrocampista. Hanno voluto loro, non li ho mai spinti. Hanno caratteri diversi, altre qualità rispetto a me. Leonardo è pure mancino. Non devono pensare ai paragoni, ma a dare sempre il 100%».

Una grande carriera a centrocampo, ma poi è rimasto lontano dal grande calcio: come mai?

«Ho girato il mondo da calciatore, non mi va di farlo di nuovo. E il mestiere di tecnico non m’ispira, almeno per adesso. Preferisco ritagliarmi un ruolo come questo, in mezzo ai giovani. E poi seguire le partite dalla tribuna: da lì si vede sempre meglio, capisci i movimenti e ti rendi conti se i tuoi allievi apprendono».

Che partite segue?

«Champions in tv: altro livello, altra atmosfera. Non vedo l’ora di sapere, come andrà tra Real e Psg. Poi la domenica penso ai miei ragazzi, il tempo è poco. E il calcio italiano è caduto pesantemente».

Intende dire che alla Serie A non s’interessa?

«Stimo Maurizio Sarri, mi ricorda il “Sacchi” della Nazionale. Per come lavora anche fuori dal campo, per la meticolosità su tutto. Il Napoli è bello da vedere, mi piace da matti».

Nient’altro da salvare, da come s’esprime: il giudizio sul momento storico?

«Bisogna azzerare tutto. E la mancata qualificazione al Mondiale può essere l’occasione. Servono però le persone giuste, occorre ripartire dai vivai. Se continuiamo a insistere con gli stranieri, che futuro avranno i nostri talenti? Gli stranieri devono essere bravi, così da alzare il livello dei nostri, invece l’80% è scarso».

Soluzione?

«Inserire l’obbligo di 6-7 titolari italiani. Altrettanti formati nel vivaio che partano dall’inizio. E poi, lasciatemelo dire, i nostri devono avere più fame, più voglia di arrivare. Manca un po’ di determinazione».

E per la presidenza Figc?

«Tommasi. Ha voglia di fare, e non si fa abbindolare. Per ricostruire, serviranno 15 anni: pensate a Spagna e Germania. Dal Mondiale 2006, invece non s’è fatto più nulla. Io sono cresciuto nelle giovanili del Toro: 4-5 giocatori del vivaio passavano in prima squadra, altri in B. Bisogna seguire l’esempio dell’Atalanta, credere in un “Gasperini” che valorizzi il prodotto».

Quanto fa male un’Italia fuori dal Mondiale?

«Uno schifo. Di solito non vedi l’ora che inizi… D’altronde, i commissari tecnici, ai miei tempi, avevano problemi di abbondanza. Oggi giocano le riserve, i più bravi hanno superato i 30 anni, troppi non hanno alcuna esperienza internazionale. A parte Insigne, oggi chi abbiamo?».

Suggerimento per la panchina azzurra?

«Roberto Mancini, oggi è l’unico possibile».

I maestri?

«Sacchi e Trapattoni».

La soddisfazione più grande?

«La finale di Usa ’94, anche se persa ai rigori».
 

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