Dal titolo italiano al Mondiale sfumato «Il 1978? Formidabile quell’anno»

CASTELFRANCOIniziava quarant’anni fa il duello che divise i motori di Marca in due fazioni agguerritissime, tanto da oltrepassare talvolta la soglia della sportività. Correva l’anno 1978 quando...

CASTELFRANCO

Iniziava quarant’anni fa il duello che divise i motori di Marca in due fazioni agguerritissime, tanto da oltrepassare talvolta la soglia della sportività. Correva l’anno 1978 quando Adartico Vudafieri, “Vuda” per tutti quelli che erano stati almeno una volta a vedere un rally, vinceva il suo primo titolo italiano. Un titolo sudato, come non poteva essere altrimenti in quegli anni. Gare che duravano giorni e giorni, che sfioravano anche i 1000 chilometri cronometrati, che non prevedevano il riposo dell’equipaggio se non per qualche minuto. E poi gli avversari che “Vuda” si era trovato davanti, quell’anno, erano da far venire un capogiro anche al più mite dei piloti. Provateci voi, se siete capaci, a battere la Fiat 131 ufficiale di Verini, la Ford Escort di Presotto, la Lancia Stratos di Antonio Carello. E ci si era messo anche Antonio Fassina, il “Tony” di Valdobbiadene, con la sua Fiat 131 a dar fastidio in un campionato già di per sé agguerritissimo. Aveva partecipato solo al Rally dell’Elba e al 4 Regioni, ma quell’anno il suo è un palmarès preso già abbastanza bene: è campione italiano 1976, l’anno dopo ha fatto terzo al Rally di Sanremo valido per il Mondiale, ma il 1978 per lui fu un anno avaro di soddisfazioni. Il seme per una delle battaglie più straordinarie della storia dei rally era stato gettato.

Vudafieri, come si è avvicinato ai rally?

«La passione mi era arrivata guardando il Rally di San Martino, come gran parte dei rallisti veneti. La mia prima gara fu la Coppa della Fovera del 1973, ma vinsi il mio primo titolo solo nel 1976: portai a casa il Trofeo Rally Nazionali con Stefano Bonaga a bordo di una Lancia Stratos. L’anno prima avevo chiuso al secondo posto nel Trn».

Come ricorda quel 1978, l’anno del suo primo titolo italiano vinto sulla Lancia Stratos del Jolly Club?

«Avevamo iniziato con un secondo posto al Targa Florio dietro alla Stratos di Antonio Carello, ma ero riuscito a batterlo all’Isola d’Elba. Mi aveva battuto ancora al Rally 4 Regioni, ma poi ero riuscito a vincere di fila il Ciocco, il Valli Piacentine e la Coppa Liburna. Con quella vittoria vinsi anche il campionato».

L’ultima gara del campionato era il Rally di Sanremo, una gara che valeva da sola una stagione. Era valido per il Mondiale e ogni anno veniva preso d’assalto dagli equipaggi italiani.

«La gara era iniziata molto bene, tanto che eravamo in testa nonostante Lancia e Pirelli avessero avuto da ridire sulle nostre gomme. Cose che succedevano. Siamo partiti in testa anche nella prova speciale 43, il secondo passaggio sulla lunghissima Ronde. Ma siamo arrivati troppo forti su una sinistra e abbiamo messo una ruota posteriore sul ghiaino. In quelle condizioni, era impossibile governare la Stratos e siamo andati fuori strada».

Una brutta botta, soprattutto per il morale.

«Sarebbe stata la prima vittoria di un pilota privato nel Mondiale Rally. Era il sogno di tutti gli equipaggi che si erano iscritti a quella gara. Per un momento ho pensato di mollare. Ma almeno avevo già vinto il titolo italiano».

Lancia vi premiò con la possibilità di partecipare al Tour de Corse di quell’anno, un’altra gara mitica.

«Lo abbiamo fatto da piloti ufficiali io e Attilio Bettega, ma io mi sono ritirato già nel primo giorno di gara. Le gomme si sfaldavano: impossibile rimanere in strada».

Il 1978 fu il primo anno in cui si tastò con mano la rivalità fra lei e Fassina.

«Con “Tony” ci sono state delle battaglie bellissime, che ancora oggi ricordo. Ognuno di noi tirava a più non posso, pensando solo a sé. Nonostante tutto, se non un’amicizia, fuori dagli abitacoli fra noi ci fu sempre un grande rispetto».

Eppure non mancarono i colpi bassi.

«Ma sempre da alcuni spettatori esagitati, mai da noi piloti. L’esasperazione di due tifoserie che si scontravano le ha portate a fare cose che non si dovrebbero. Ricordo il Ciocco 1981: solo io trovai ghiaia in un tornante in discesa e la mia Fiat 131 uscì di strada. Erano tutti troppo tesi, così il Jolly Club e la Lancia ci chiesero di fermarci. Ci ritirammo entrambi al termine del 1984».

Lei era famoso per dare tutto, anche a costo di piegare qualche scocca. Gigi Pirollo, nel suo libro “Una curva lunga una vita”, ricorda di una nota troppo ottimistica in un Rally di Sanremo.

«Adesso posso dire che aveva ragione lui a voler fare più piano quella curva, ma noi dovevamo dare tutto quello che la macchina poteva offrire. A Sanremo si dava qualcosa in più. Rischiavamo sempre, bastava uscire di un pelo dalla traiettoria per sbattere».

Quanto sono diversi i rally di oggi da quelli dei suoi tempi?

«Non voglio criticare quelli di oggi, dico solo che sono molto diversi. Le mie gare le vincevi con la prestazione e la resistenza dell’equipaggio e del mezzo. Ricordo che la prima tappa del Rally del Piancavallo 1984 durava 20 ore filate per 640 chilometri di prove speciali. Oggi ci faresti due gare del campionato del mondo, con quei chilometri. Se non eri preparato fisicamente, scoppiavi. Quando correvo il Tour de Corse perdevo 7 chili in 3 giorni. Le gare si risolvevano perché qualche avversario non ne poteva più dalla fatica».

Le è dispiaciuto non aver guidato i mostri del Gruppo B?

«No, ritengo che la trazione integrale abbia rovinato i rally. Ho provato una Lancia Delta S4: dovevi metterla dritta e buttare giù cavalli. Noi li mandavamo di traverso. Ormai non vado a vedere neanche i rally del Mondiale, anche se vivo a Montecarlo. Ai rally di oggi manca il contatto con il pubblico. Sembra di stare in Formula 1. Non cambierei i miei rally con quelli di oggi». —



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