Calcio, Zigoni fa settant’anni: «Ma lo dite voi, non li ho mai contati»

Una vita sempre sopra le righe, da Oderzo alla Juventus fino a Verona. «Esordii al posto di un certo Omar Sivori»
Zigoni in panchina con la pelliccia bianca
Zigoni in panchina con la pelliccia bianca

ODERZO. «Non conto gli anni, non so quanti ne festeggio e nemmeno mi interessa». La personalità di Gianfranco Zigoni si riassume in queste poche parole. Ribelle, trasgressivo, fuori dagli schemi. Originale, battagliero, anticonformista. Centravanti che trascinava compagni e folle, capace di mettere assieme 265 presenze e 63 gol fra Anni Sessanta e Settanta con le maglie di Juventus, Genoa, Roma e Verona.

Il campione opitergino ha compiuto ieri 70 anni, festeggiando con i figli del suo scopritore Bepi Rocco, detto “Il Crep”: «Mi vide giocare per i campetti di Oderzo, insistette per farmi provare con il Pordenone, che a quel tempo era legato alla Juve. Se sono diventato calciatore lo devo a lui». E la carriera decollò. Fra gol indimenticabili, stravaganze che hanno fatto la storia del calcio e massime tramandate dall’epoca in cui calcava i palcoscenici più famosi. Il giorno del compleanno è una centrifuga: pensieri e parole, immagini che tornano alla mente. «L’esordio a 17 anni in serie A con la Juventus», inizia il viaggio nel passato, «Presi il posto di un certo Sivori».

Il coronamento del sogno cullato da bambino: «Ero cresciuto con il mito del Real Madrid di Di Stefano, Puskas e Gento. Mi sentii realizzato il giorno in cui li trovai di fronte per un’amichevole. Vincemmo 3-1 e feci pure gol. Quella volta della Coppa Campioni, invece, andò diversamente. Avevo la concorrenza dei Sivori e Charles, perciò venni relegato in panchina. Ho sempre ringraziato il destino per non aver giocato: davanti ai 100mila del Santiago Bernabeu, avrei rischiato di farmela addosso..».

Espressioni in linea con il personaggio. Zigo è così: prendere o lasciare. «Il gol più bello della carriera? Mai pensato a queste piccolezze... Firmai la rete del 13º scudetto juventino, un memorabile 2-1 alla Lazio, mentre l’Inter incappò nella fatal Mantova. Ma forse ricordo con più piacere il 2-1 all’Ofk Belgrado nella Coppa delle Fiere. Ero un ragazzino e anche quella volta subentrai a Sivori. Segno del destino».

Ma è anche quello della pelliccia: «Non sono mai stato trasgressivo. Mi comportavo in quel modo perché mi veniva naturale. Ho sempre amato pellirossa e cowboy, sono uno spirito libero. Giocavo nel Verona e quella volta Valcareggi mi spedì in panchina. Faceva freddo e trovai normale indossare la pelliccia a bordo campo». L’unico rimpianto riguarda forse l’esperienza scaligera: «Per come mi hanno amato, avrei potuto dare molto di più. Innumerevoli i momenti felici: le scorribande in Porsche per la Valpolicella o la zona dei Castelli trangugiando vino nella mia parentesi romana. Mi ritengo soddisfatto: la mattina mi alzo sereno e ho solo ricordi positivi». Il più emozionante esula però dalla sua carriera di calciatore: «Quando mio figlio Gianmarco (oggi al Monza, ndr) debuttò in B con il Treviso segnando un gol: rischiai l’infarto»

 

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