Bottecchia, la morte avvolta nel mistero

Novant’anni fa il tragico decesso del ciclista trevigiano che vinse due Tour de France. Fuoriclasse ricchissimo e generoso
TREVISO. Brutto, magro, povero e ignorante. Questo era Ottavio Bottecchia, leggenda del ciclismo di ogni epoca, al momento del debutto fra i professionisti. La sua morte ricorre a 90 anni fa. Aveva 27 anni suonati, malaria e gas tossici in corpo come regalo della Grande Guerra, e tanta fame, vera fame, ingigantita dalle fatiche quotidiane e dall’amaro passato di emigrante.


Ricchissimo
. I fasti di Francia, con i sontuosi corollari degli ingaggi per i circuiti post Tour e le riunioni in pista, perfino in Argentina, rendono in breve tempo Ottavio Bottecchia un uomo ricchissimo. A Pordenone nel 1924 due sole persone possedevano l’automobile: il conte Galvani, industriale della ceramica esportata in tutto il mondo, e Bottecchia, il ciclista più famoso e meglio pagato di metà anni Venti. L’agiatezza e la facoltà, però, non ottenebrarono la morale di Ottavio, mai abituatosi allo sfarzo e al lusso. Grazie ai lauti guadagni, da buon contadino, nel 1926 investì sul proprio futuro aprendo una fabbrica di biciclette con il suo nome, garanzia di riuscita.


L
a strana morte
. La giornata del 3 giugno 1927 cominciò male per Ottavio Bottecchia. Intenzionato ad allenarsi intensamente per riscattare la grigia stagione 1926, il pordenonese adattato programmò una lunga uscita in bicicletta fino alla Carnia. Iniziò allora a invitare i suoi amici ad accompagnarlo ma nessuno accettò l’invito: Alfonso Piccin preferì farsi un giro in motocicletta, Luigi Maniago doveva imbiancare casa e così via. Con l’abituale maschera triste Ottavio allora proseguì da solo, attraversando la pedemontana friulana fino a Peonis di Trasaghis, dove venne raccolto in fin di vita segnato da gravi ferite fra le quali la frattura della volta e della base cranica. Il 15 giugno, dopo lunga e dolorosa agonia, si spense all’ospedale di Gemona del Friuli. Subito si sparsero voci incontrollabili relative alle presunte cause di assassinio: un delitto d’onore per motivi di gelosia, un’esecuzione malavitosa dovuta a un giro di scommesse non onorate, la difesa di un contadino del posto cui il ciclista avrebbe rubato della frutta, il pestaggio prolungato da parte di squadristi fascisti. Le frettolose indagini non chiarirono né la famiglia Bottecchia si sforzò di capire ciò che, forse, si era intuito subito.


Generosità
. Una dote caratteriale, a 90 anni dalla morte, è ancora ricordata e apprezzata di Ottavio Bottecchia: la naturale generosità. Scavato nel fisico e nell’animo dalla miseria, il forzato della strada non dimenticò mai le sue origini né il suo passato. Così, se da corridore misconosciuto spesso riportava a casa il magro ristoro anziché consumarlo in corsa, da celebrato e affermato campione rivestì da capo a piedi tutti i bambini e ragazzi del suo borgo natio, anime morte che pativano il freddo d’inverno come il caldo d’estate. A Pordenone, inoltre, acquistò un villino e lo donò al suo gregario e compagno di allenamenti preferito, Alfonso Piccin.


Pubblicisti
ca.
Il mito Bottecchia ha stimolato l’interesse di numerosi giornalisti e scrittori che gli hanno dedicato libri. Va citato il professor Enrico Spitaleri, compaesano di Ottavio, autore dei libri autoprodotti “Il delitto Bottecchia” e “L’agguato”. Due lavori ha prodotto anche la giornalista pordenonese Giuliana Vittoria Fantuz: l’album storico “Ottavio Bottecchia” con la collezione di Renato Bulfon e la traduzione dal francese del diario di Ottavio Bottecchia “Le memorie di Bottecchia”, entrambe edite da Associazione stories.fvg. È attesa per questi giorni l’uscita di “Il corno di Orlando” (66thand2nd) del giornalista sportivo Claudio Gregori.


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