Basket, quand'era bambino Marconato andò in Ghirada. Per giocare a volley

Il mito della palla a spicchi di Marca si racconta: «Mi notò Lele Molin: reclutato. Un minuto in più e sarei stato pallavolista. L’Nba? Non faceva per me. Il compagno top? Rebraca. TvB? Dall’anno prossimo crescerà. Kobe? Mi piange il cuore»
BIPOP - BENETTON foto:S.Rosa nella foto: marconato - benetton BI POP - BENETTON
BIPOP - BENETTON foto:S.Rosa nella foto: marconato - benetton BI POP - BENETTON

TREVISO. Un simbolo, un vanto, uno dei più grandi di sempre. Denis Marconato è trevigianissimo di San Giuseppe e dei 19 trofei vinti dalla Benetton Basket nella sua storia ne ha mancato solo tre, il primo e l’ultimo scudetto (in compenso ne ha vinto uno a Siena) e una Supercoppa. In totale: quattro tricolori, otto Coppe Italia (tutte quelle vinte da Treviso, record assieme alla Virtus Bologna), due Coppe Europa, una Copa del Rey. In più l’argento olimpico ad Atene 2004 e tutte e tre le medaglie agli Europei. Uno così, si pensa, deve avere avuto la pallacanestro nel sangue. Mica vero, c’è mancato poco che il buon Denis finisse per fare il centrale di pallavolo. «Ero ragazzino e il medico dopo una visita mi aveva consigliato di fare sport: mia madre mi porta alla Ghirada e ferma il primo allenatore che incontra, uno del volley: le dice di aspettare. Nel frattempo passa Lele Molin (vice allenatore della Benetton, ndr) e mi nota, chiede età e altezza. Detto fatto: reclutato. Qualche minuto in più e avrei fatto il pallavolista».

Da Treviso nel 2005 te ne andasti a Barcellona: non tutti possono dire di aver fatto altrettanto.

«Doveroso andarci, come facevo a rinunciare? Ed è stata una esperienza bellissima: sono stato in un club prestigioso, ho militato nel campionato spagnolo. E là mi sono accorto che utilizzano molto i centri, praticano un basket vecchia maniera, con i pivot grandi e grossi: sarà per quello che mi chiamarono… E allora come oggi noto che danno molta importanza all’asse play-pivot».

Dopo tre anni al Barça restasti in Spagna al San Sebastian, quindi a Milano (finale persa contro Siena), che ti ingaggiò nel 2009, due stagioni a Cantù, uno a Venezia e infine, a 38 anni tre partite con TvB: come andò?

«Mi stavo allenando per tenermi in forma e cercavo una squadra di serie A. La De’ Longhi in B aveva avuto una serie di infortuni, fra cui quello di Ivan Gatto, per cui mi chiesero di sostituirlo. Feci tre presenze prima che Cantù mi offrisse un contratto di sei mesi. Dopodichè Montichiari e Sassari prima di smettere».

Proprio nessun rimpianto? Nemmeno la Nba?

«No. Un’estate andai a giocare una Summer League in America, avevo 30 anni e volevo togliermi uno sfizio, vedere cioè come funzionava: capii subito che quella pallacanestro non faceva per me, lì giocano in maniera molto individuale mentre io prediligo la pallacanestro di squadra».

Cos’hai provato quando hai saputo di Kobe Bryant?

«Speravo tanto fosse una fake news. Mi piange il cuore a ricordare quello che è stato, morire così giovane e poi con la figlioletta. Non è possibile».

Quale dei tuoi compagni ti ha impressionato di più?

«Quanti ne ho avuti… Ne dico uno, Zeljko Rebraca. Aveva dei movimenti straordinari, ho cercato di copiare tutto ciò che faceva, compreso il metodo di lavoro. Zele l’ho sempre visto come un modello».

Uno come te la pallacanestro non poteva lasciarla da parte.

«Infatti faccio l’allenatore a Istrana con l’under 14, l’U18 ed il supergruppo che fa la serie D. Soffro, mi arrabbio ma anche mi diverto: ai questi ragazzi voglio trasmettere la voglia di vincere, di migliorarsi, di non accontentarsi mai. Se ce l’ho fatta io è perché ho lavorato tanto, per cui se ci mettono impegno e volontà ce la possono fare anche loro, basta che abbiamo passione e amore per la pallacanestro. Qualche risultato lo sto ottenendo ma è dura, è un’epoca difficile questa, un’altra generazione».

Che te ne pare del cammino della De’ Longhi?

«Mi sembra positivo, a parte qualche episodio sfortunato e dei punti sprecati per strada: due volte a Bologna, Trieste, Cantù, Trento. Tenuto conto che il gruppo è giovane e che in tanti in A non ci avevano mai giocato finora la squadra è andata bene. Chi mi ha impressionato di più all’inizio è stato Nikolic, però è tutto il gruppo che mi è piaciuto. E credo che la salvezza sia ampiamente raggiungibile: lo zoccolo duro c‘è, dalla prossima stagione con le opportune modifiche si inizierà a crescere».

Nella tua seconda vita, oltre che fare l’allenatore ti sei buttato in politica: consigliere comunale a Preganziol. Ma chi te l’ha fatto fare?

«Il sindaco Galeano mi aveva chiesto di dargli una mano, ho sposato la sua idea perché è un amante dello sport, il Comune ha delle politiche sociali che apprezzo parecchio: consentono di fare sport a ragazzi che altrimenti non ne avrebbero la possibilità. L’anno scorso in 70 hanno potuto iscriversi gratis a corsi di nuoto, karate, rugby, pallavolo. E più di qualcuno ha conseguito risultati anche a livello nazionale». —

Silvano Focarelli

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